A Trento una giovane madre ha conosciuto il rigore della giustizia che quando vuole sa essere rapida e inesorabile, specie con i deboli. Aveva appena partorito ma il bambino le è stato sottratto dal Tribunale dei minori in esecuzione di una procedura di adottabilità. Motivo? E’ povera, guadagna appena 500 euro al mese.

Aveva voluto il bambino, resistendo alle pressioni di chi tra medici e assistenti sociali le aveva suggerito di abortire, e conscia della sua situazione di difficoltà economica aveva chiesto un affido condiviso. La risposta le è arrivata praticamente in sala parto: via il bambino, ci pensiamo noi, la società. Che poi vuol dire istituto e pratiche di adozione.

La mamma ha cercato disperatamente di farsi ascoltare dal giudice, che l’ha ricevuta dopo un mese (!) per comunicarle che avrebbe avviato una perizia per valutarne la “capacità genitoriale”; tempo previsto: otto mesi (!). Un grandioso paradosso. Come potrà la madre dimostrare capacità di accudire un figlio in assenza del figlio?

Il caso è stato reso noto da uno psicologo che peraltro svolge consulenza tecnica per lo stesso Tribunale che commenta: “I procedimenti con cui il Tribunale dei minori separa i bambini dalle madri in nome dell’incapacità genitoriale sono un abuso scientifico”. Già. A molti dirà poco, ma quella formuletta, “incapacità genitoriale”, è l’incubo di migliaia e migliaia di famiglie.

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Lo dice il perito incaricato dal tribunale, e comincia il dramma. Finisci sotto un rullo compressore che quasi mai fa marcia indietro, va sempre avanti (del resto si è mai visto in tempi recenti un giudice ammettere di aver sbagliato?). In Italia ci sono trentamila bambini negli istituti, moltissimi a causa della dichiarazione che ha trasformato i genitori in incapaci. Lo psicologo trentino afferma che la separazione del bambino dalla famiglia dovrebbe essere perseguita per situazioni gravissime ed eccezionali, come gli abusi sessuali e le violenze, i quali però nell’ultimo anno in regione hanno rappresentato solo il 5% dei casi. E il resto?

 

Sullo strapotere dei Tribunali minorili e dei periti tecnici (psicologi e psicoterapeuti) parlano pochi coraggiosi, come il criminologo Steffenoni nel libro “Presunto colpevole”, presentato qualche giorno fa alla Camera nella pressoché totale assenza dei politici. Le storie raccontate nel libro come quella accaduta a Trento, hanno dell’incredibile per chi è lontano da queste vicende. Difficile accettare il fatto che gli istituti ricevano cento euro al giorno (!) per il mantenimento dei bambini loro affidati mentre le famiglie che fanno affido e accoglienza (soluzione di gran lunga più felice) vengano sostenute con cinquecento euro al mese (!).

 

Difficile tollerare che un disegno cupo o strambo di tuo figlio possa innescare il meccanismo che te lo porta via. Difficile rassegnarsi all’idea che viviamo in una barbarie tecnico-giuridica, e senza che la si possa chiamare come tale. Due giorni fa su Repubblica Chiara Saraceno lamentava addirittura il fatto che gli assistenti sociali hanno troppa attenzione per la componente biologica del legame tra genitori e figli: per i dittatori del pensiero unico sociale si tratta soltanto uno stupido scrupolo che andrebbe eliminato con maggior vigore.