Alla fine ha vinto il buon senso e ieri il governo ha ritirato la misura che innalzava dal 74 all’85% la percentuale di invalidità necessaria per ottenere l’assegno mensile di invalidità civile. Per capirci, si tratta di un assegno di 256,67 euro mensili (con tredicesima) che spetta a tutti coloro, in età tra i 18 e i 65 anni, che abbiano un’invalidità certificata tra il 74% e il 99% e dispongano di un reddito annuale inferiore a 4.408 euro.

L’innalzamento all’85% della percentuale di invalidità avrebbe escluso da questa forma di sostegno una decina di migliaia di persone all’anno, e si tratta di persone affette dalla sindrome di down, sordomuti, amputati, poliomielitici. 256 euro mensili in meno avrebbe portato un risparmio allo stato di 80 milioni di euro su tre anni: poca cosa rispetto alle dimensioni della Manovra, ma dalle conseguenze umanamente pesantissime per tutte le persone private di quella minima entrata. Per far un paragone, anche a Parigi ieri i disabili erano in piazza per protestare contro il mancato adeguamento dell’indennità da 700 euro ai 900, che per la Francia rappresenta la soglia di povertà.

Bastano queste cifre per capire come quella misura fosse a tutti gli effetti impresentabile. Ieri i disabili sono scesi a Roma in quella che doveva essere una manifestazione di protesta e che invece si è trasformata in un’adunata dai toni quasi festosi, che ha potuto dare in diretta l’avvenuto ritiro della misura in Commissione bilancio della Camera. Eppure, nonostante lo scampato pericolo, qualche considerazione è giusto farla. I media italiani, che pur macinano informazione politica a tutto spiano, non si sono neppure accorti della gravità di questa misura.

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Nelle paginate sugli altri tagli contenuti nella Manovra, non c’è stato spazio né per parlarne né di raccontare la protesta civilissima che per la prima volta dopo quasi 40 anni aveva visto tutte le associazioni di disabili unite nel chiedere al governo di fare marcia indietro. Il che mi conferma nell’idea che l’informazione si stia sempre più riducendo a un gioco di rimpiattino tra le caste (la politica, il giornalismo e la magistratura), nell’indifferenza e nell’ignoranza di ciò che avviene nella realtà e nella vita delle persone. Ci sono volute le migliaia di firme raccolte da una petizione sul portale di Vita.it e un titolo azzeccato di Avvenire perché finalmente le cose si smuovessero.

La seconda considerazione da fare è che 256 euro al mese non garantiscono certo una vita degna a nessuno. Tanto meno a persone che non hanno autonomia in tante funzioni vitali. La risposta non sta certo nel chiedere ad uno stato esausto più di quel che dà; né nell’illudersi che basti stanare le false invalidità per aggiustare la situazione.

La risposta sta in un ripensamento sempre più urgente del sistema di welfare, in cui il privato sociale sia chiamato e incentivato ad avere un ruolo sempre più da protagonista. Solo il privato sociale ha il know how per trasformare in risorsa chi oggi viene recepito solo come passivo destinatario di un assegno a fondo perduto.