La crisi, che nell’ultimo anno e mezzo ha colpito le società occidentali obbligando i decision maker dei vari Paesi coinvolti a ripensare i meccanismi che regolano i sistemi economico-finanziari, deve essere letta non solo come esito di tecniche contabili usate in maniera errata o fraudolenta, ma come espressione di una concezione ridotta di uomo e di lavoro. Un uomo che non si sente più spinto a “desiderare cose grandi”, come documenta la mostra “Un impiego per ciascuno. Ognuno al suo lavoro. Dentro la crisi, oltre la crisi”.



Si è persa l’idea che la capacità creativa, di trasformazione della realtà, il desiderio di costruire, di migliorare la condizione personale, familiare e del territorio, sono radicati nella natura umana. E si è persa l’idea che, contrariamente a quanto sostiene una certa letteratura socio-economica, la disposizione a “intraprendere” è direttamente proporzionale a quanto un uomo vive la sua natura profonda, fatta di desiderio di giustizia, verità, bellezza e a quanto questo desiderio è educato nelle realtà sociali, territoriali, ideali, a cui la persona appartiene.



Il recupero di questa dimensione, insieme alla riscoperta della dimensione fondamentalmente relazionale dell’essere umano, è la grande opportunità che la crisi sta offrendo in questo momento, insieme all’affronto di alcuni problemi di ordine sociale che essa ha acuito e che riguardano in particolare le fasce della popolazione più vulnerabili. Come mostra la recente indagine “La povertà alimentare in Italia”, l’origine principale della povertà è la solitudine, l’allentamento di quei legami familiari, di quella rete di amicizie e appartenenze che hanno fatto e fanno il nostro tessuto sociale e la nostra welfare society.



Tutto quello che distrugge questo sistema naturale e storico diventa fattore di ineguaglianza. Oggi può diventare povero chi ha in casa un malato cronico da curare; chi perde il lavoro a 50 anni per una improvvisa crisi aziendale; chi, senza una pensione adeguata, si ritrova anziano senza parenti che lo sostengono; chi si trova ad affrontare separazioni matrimoniali e non riesce a mantenersi da solo. Così, la questione cruciale nella lotta alla povertà è l’educazione del povero a ricostruire dei legami, a prendere iniziativa verso la propria condizione.

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Nel panorama delle formazioni sociali, le organizzazioni non profit sono quelle che più naturalmente tendono a favorire la tessitura di rapporti tra uomini, aiutano le persone più bisognose a giudicare la propria condizione e tutta la realtà con uno sguardo diverso. Chi si presenta quotidianamente alle porte di questi enti a chiedere sostegno instaura un naturale rapporto di fiducia con chi lo aiuta senza secondi fini. Il Terzo Settore sta quindi diventando fattore sempre più importante nel garantire quei livelli di welfare che né Stato né mercato riescono più ad assicurare.

 

Ma esso, da qualche decennio a questa parte, continua anche ad essere segnato da un aumento occupazionale sempre più qualificato: circa il 94,7% è collocato nel settore dei servizi, dove la qualificazione professionale è più rilevante. La povertà e tutti i bisogni sociali sono più efficacemente affrontati con azioni “dal basso”, cioè dai soggetti naturalmente più vicini al bisogno e più in grado di accompagnare l’azione delle persone perché diventino protagoniste di un possibile cambiamento del loro destino.

 

Per questo un modello di governance di una società moderna che ha bisogni complessi e differenziati non può che prevedere come principio guida la sussidiarietà, principio teso a liberare le energie costruttive dei livelli di organizzazione sociale più vicini alla singola persona. Una società nasce come luogo di convivenza ordinata e operosa dalla sussidiarietà, cioè dall’iniziativa di tante forze particolari che tendono al bene comune. Anche il futuro unitario del continente europeo dipenderà paradossalmente dall’integrazione delle diverse forze sociali presenti nei diversi Paesi.

 

Infatti, la sussidiarietà, prima che un principio ispiratore politico-istituzionale, è un fenomeno già in atto che riguarda la nascita e la crescita dal “basso”, verificatasi nel corso dei secoli, delle più varie iniziative di risposta ai bisogni della collettività. Sarebbe un errore concepire queste istanze parziali come contrapposte al bene comune. Così, anche di fronte a situazioni di comprensibile allarme sociale prodotte dalla perdita dei posti di lavoro, che hanno fatto registrare diffusi atteggiamenti di rifiuto dello straniero – sospettato di essere la causa di tante difficoltà economiche -, diventa oggi più urgente che mai continuare a promuovere dialoghi e intese su questioni concrete, stimolando le energie innovative presenti in tutte le realtà sociali. 

 

(Anticipazione tratta dal Catalogo del Meeting 2010)