Il mare di Montale

Agosto è il mese per eccellenza dedicato alle vacanze, come quelle al mare. Ecco come Montale descrive il Mediterraneo

Il sostantivo “vacanza” è imparentato con il termine “vuoto”. Deriva infatti dal latino vacans che significa: essere svuotato, liberato. Un vuoto, dunque, ma non per una assenza, bensì perché ci si libera di ciò che normalmente appesantisce e ingombra la mente e il cuore. Uno spazio per sé. Uno spazio sgombro, innocente, ampio.

 

Anche la dislocazione geografica diversa da quella in cui trascorriamo la vita cosiddetta normale favorisce il godimento di questo desiderato territorio libero. E la poesia ci può accompagnare. Per questo ho pensato di dedicare gli editoriali del mese di agosto alla rilettura di brani che hanno per oggetto proprio i luoghi tipici della nostra vacanza. Mi auguro che anche questi versi aiutino a gustare maggiormente gli spazi liberi della nostra vacanza.

Questa settimana il protagonista è il mare. E chi più del Montale degli Ossi di seppia può farci compagnia? La sezione Mediterraneo raccoglie nove poesie senza titolo. Ecco la seconda.

Il poeta si rivolge direttamente al mare, col rispetto che si deve a un interlocutore importante:

Antico, sono ubriacato dalla voce

ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono

come verdi campane e si ributtano

indietro e si disciolgono.

Un interlocutore che è, però, anche fraterno, come un amico d’infanzia:

La casa delle mie estati lontane

t’era accanto, lo sai,

là nel paese dove il sole cuoce

e annuvolano l’aria le zanzare.

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Un interlocutore carico di un mistero che non lascia scampo, di un ammonimento che resta valido anche se non se ne è più degni:

 

Come allora oggi in tua presenza impietro,

mare, ma non più degno

mi credo del solenne ammonimento

del tuo respiro.

 

Cosa mi ricorda, dunque, il mare? Che il mio piccolo cuore umano freme di un desiderio infinito, grande come quello del mare sempre in movimento. Ed è questo fermento che fa la mia inconfondibile personalità:

 

Tu m’hai detto primo

che il piccino fermento

del mio cuore non era che un momento

del tuo; che mi era in fondo

la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso

e insieme fisso:

 

C’è, allora, una legge comune a me e al mare: sgomberare il cuore dalla sporcizia e dalle cose superflue:

e svuotarmi così d’ogni lordura

come tu fai che sbatti sulle sponde

tra sugheri alghe asterie

le inutili macerie del tuo abisso.

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