La ricerca scientifica, come ogni tensione alla conoscenza del reale, è una manifestazione di quell’impeto umano che “ci spinge a desiderare cose grandi”. È un’espressione peculiare della nostra sete innata di senso, di verità e di bellezza che si esprime in questo caso come ricerca dell’ordine unitario nascosto dietro alla varietà dei fenomeni naturali che si presentano alla nostra esperienza.
Certo è che negli ultimi quattro secoli, da Galileo a oggi, la scienza moderna ha ottenuto un successo sorprendente, producendo applicazioni tecnologiche che non cessano di proliferare e che influiscono sulla nostra mentalità in modo profondo e pervasivo. Ma qual è veramente il bene che ci può venire dalla scienza? Quale contributo positivo offre la conoscenza scientifica alla persona?
Ci sono naturalmente i molti benefici applicativi di cui tutti godiamo, dalle comunicazioni alla medicina. Ma quali condizionamenti inducono, e a quale responsabilità ci chiamano? E che dire della ricerca fondamentale, che dell’innovazione è condizione necessaria? La comprensione della struttura dell’universo, la scoperta della natura profonda della materia o della complessità del nostro cervello, la grandezza e l’unità del quadro che s’intravvede, sono in se stessi un bene per tutti, oppure no? E a quali condizioni? È decisivo porsi apertamente queste domande in un tempo in cui la crisi economica mondiale rischia di condurre la ricerca fondamentale su un binario morto.
Una cosa è sicura: se è vero che scienza e tecnologia documentano la realtà come bene, esse non assicurano la felicità. La scienza non basta all’uomo – come del resto non gli bastano la filosofia o la teologia. È vera e drammatica l’affermazione di San’Agostino, citata da Benedetto XVI nel famoso discorso alla Sapienza, “il semplice sapere rende tristi”. Perché l’esigenza di felicità nell’uomo ha un orizzonte sconfinato, un orizzonte che non si può circoscrivere entro gli esiti finiti delle sue, pur mirabili, conquiste intellettuali.
Nell’attuale clima culturale, dove sembra emergere uno scientismo di ritorno, diventa allora interessante domandarsi che cosa accade della nostra mentalità e del nostro sentimento del mondo se trattiamo la realtà come se fosse riducibile a ciò che di essa possiamo conoscere con il metodo scientifico. Occorre un territorio umano più vasto della sola ragione scientifica per apprezzare e sostenere la scienza stessa.
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Proprio chi si occupa di scienza ai massimi livelli può portare una testimonianza credibile della grandezza e, al tempo stesso, dell’insufficienza del conoscere scientifico. Di questo parleremo nel dibattito “Quale bene dalla scienza?” con il famoso astrofisico statunitense Mario Livio del Hubble Space Telescope Science Institute, e con Andrea Moro dell’Università Vita-Salute San Raffaele, linguista tra i più autorevoli a livello internazionale.
C’è in ogni singolo soggetto umano qualche cosa che è capace di riconoscere una verità oggettiva. Scrive don Giussani ne Il Senso Religioso: “La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con se stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale confronto – di un complesso di evidenze ed esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende”.
Questo paragone tra il criterio innato del soggetto (il “cuore”) e la realtà riguarda ogni aspetto del conoscere. Fra le discipline scientifiche, è forse nella Matematica dove vediamo tale dinamismo in modo più diretto e paradigmatico: una moltitudine di soggetti umani, vissuti in epoche e culture diverse dall’antichità a oggi, che svela i contorni di un’unica realtà coerente, ricca e universalmente condivisa. Di qui prende le mosse la mostra “Da uno a infinito: al cuore della matematica”, curata da Euresis, che sarà presentata al Meeting con la presenza di Edward Nelson, matematico di fama internazionale del Department of Mathematics, Princeton University.
La mostra propone un itinerario che condurrà il visitatore in una semplice ma reale esperienza di matematica, accompagnandolo per una volta in un mondo il cui fascino, contrariamente a quanto si pensa, è accessibile a tutti. Si potrà così familiarizzare con un ambito multiforme e al tempo stesso coerente, nel quale l’infinito riemerge continuamente come elemento centrale, dove l’ordine insito nell’universo fisico trova misteriosamente un linguaggio corrispondente alla ragione umana, dove i nessi con l’estetica e la musica sono profondi e sorprendenti; e ci renderemo conto che l’astrazione non è necessariamente nemica del rapporto col reale, ma se ben usata può essere uno strumento potente di comprensione della realtà.
Ne emerge il carattere a un tempo indubitabile e misterioso della matematica. Come scrisse il grande matematico Ennio De Giorgi: “All’inizio e alla fine abbiamo il mistero. Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio. A questo mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo”.