Parlando di Europa si pensa sempre alle grandi politiche europee, come infrastrutture, energia, agricoltura, e si pensa sempre agli accordi o disaccordi fra i grandi e i piccoli stati che la compongono.
Parlando di Europa parlo spesso della necessità di riscoprire il progetto comune dei Padri fondatori così che le prossime generazioni possano sperare di avere la prosperità e la pace che abbiamo avuto negli ultimi cinquant’ anni.
Parlando di Europa ricordo spesso la necessità di riscoprire le radici cristiane e di tutelare le libertà e i diritti dell’uomo, partendo dalla libertà religiosa, e proprio in questi giorni al Meeting di Rimini sono intervenuto a diversi incontri su questo argomento.
Vorrei però cogliere l’occasione dell’incontro del Meeting di Rimini cui parteciperò oggi “L’Europa delle regioni” per sottolineare l’importanza che hanno le regioni d’Europa per raggiungere questi obiettivi.
Se l’Unione europea è formata da 27 stati diversi, non dobbiamo dimenticare che ogni stato è a sua volta l’insieme di realtà spesso altrettanto diverse. I paesi europei sono organizzati in maniera molto eterogenea: dai Laender tedeschi, veri e propri stati dotati di parlamenti locali e rappresentati da una camera territoriale presso il parlamento tedesco, alla Spagna, all’Italia, per arrivare fino a realtà molto piccole o molto più omogenee al loro interno.
Ma la cosa importante per l’Europa è che spesso le regioni che la compongono presentano caratteristiche economiche e sociali molto simili, al di là dei confini nazionali che le contengono. Si pensi ai “quattro motori d’Europa”, le quattro regioni considerate economicamente trainanti per l’intera Unione Europea: il Baden-Württemberg, la Catalogna, la Lombardia e il Rodano-Alpi o invece a quelle dell’obiettivo 1.
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Per portare avanti il progetto di unificazione europeo dobbiamo tenere conto delle differenze esistenti e farne un punto di forza, perche le regioni più ricche o più avanzate possono fare da traino e da esempio per quei territori che per ragioni geografiche, politiche o sociali sono più svantaggiate.
Allo stesso tempo dobbiamo rafforzare e valorizzare le competenze di ogni singola regione e tutelare, anche a livello europeo, l’autonomia che gli enti locali stanno faticosamente raggiungendo all’interno del proprio paese di appartenenza.
All’incontro organizzato dal Meeting di Rimini di oggi avremo due autorevoli esponenti di entrambi gli aspetti. Sarà presente il Presidente della Commissione europea, Josè Manuel Durao Barroso, a testimoniare quanto l’Unione europea, soprattutto in seguito all’ entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sia impegnata a riconoscere e valorizzare le antonimie locali, che discuterà con Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia, “paladino” del federalismo e di una maggiore autonomia e valorizzazione delle singole realtà regionali.
Il federalismo non deve però essere la scusa per dividere il paese o abbandonare le realtà più disagiate, ma in un’ottica sussidiaria, deve essere il modo di differenziare le necessità e mirare le politiche per aiutare chi ne ha bisogno e invece lasciare più libero chi è in grado di gestirsi meglio in proprio. Il principio di sussidiarietà deve però essere un movimento che parte dal basso, non un’elargizione di competenze da parte dello stato, ma un vero e proprio riconoscimento costituzionale di autonomia.
Le stesse competenze dell’Unione europea, secondo il Trattato di Lisbona, sono suddivise in base al principio di sussidiarietà: “Secondo tale principio, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza l’Unione europea interviene soltanto quando la sua azione è considerata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale”.
La grossa novità introdotta dal Trattato di Lisbona è che nel rispetto di tale principio, l’Unione deve ora tenere conto anche del “sistema delle autonomie locali e regionali”, inoltre nel meccanismo di divisione delle competenze, l’Unione deve verificare, prima di esercitare una competenza concorrente, non solo che gli obiettivi non possano essere raggiunti a livello centrale, com’era nel sistema pre-Lisbona, ma anche che i medesimi scopi non lo siano – ed è qui la novità – “a livello regionale e locale”.
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Allo stesso modo, con il meccanismo dell’early warning (avviso preventivo) sul rispetto del principio di sussidiarietà, la Commissione, nella fase di proposta normativa, deve effettuare ampie consultazioni e deve tenere “conto, se del caso, della dimensione regionale e locale delle azioni previste” così come i progetti di atti legislativi devono essere integrati con schede sul rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità che consentiranno di valutarne l’impatto sulla legislazione statale “ivi compresa, se del caso, la legislazione regionale”, nonché valutare gli oneri che ricadono “sugli enti regionali o locali”. Ma anche nella fase pre-legislativa, la Commissione è legittimata a consultare tutte le parti interessate, comprese le autorità locali.
Nell’insieme questi spunti potrebbero indurre a ritenere che il Trattato di Lisbona abbia in nuce inteso promuovere un modello di responsabilità e di governance condivisa fra tutti i livelli di governo dell’Unione complessivamente considerata, centrali o locali che siano.
Vorrei ricordare infine che l’applicazione delle normative europee passa sempre più spesso, almeno in Italia, per la legislazione regionale. Le regioni infatti sono pienamente responsabili della tempestiva attuazione delle norme comunitarie e si è già verificato il caso di sanzioni a carico dello stato italiano per mancanze degli ordinamenti regionali.
Per concludere, le dimensione regionale deve essere tenuta in doverosa considerazione dal livello statale ed europeo, mentre le regioni, da parte loro, devono essere consapevoli della responsabilità che hanno per contribuire alla realizzazione di quel progetto che chiamiamo Europa unita.