Si riparte. In tutti i sensi. La ripresa c’è, anche se incerta. “L’industria sente la ripresa, ordini record”, “Impennata delle commesse, mai così alte dal 2005. Il fatturato sale dell’8,9%”. “L’Italia con il 3,9% della produzione manifatturiera mondiale si conferma al quinto posto. Mantiene le stesse distanze dalla Germania, sempre in testa, ma migliora rispetto a Usa e Giappone, che la precedono, e a Francia e Inghilterra che la seguono”. “Le piccole (da 20 a 49 collaboratori) e le medie (da 50 a 249) hanno una produttività manifatturiera più alta delle omologhe imprese tedesche. Si perde sulle piccolissime e sulle grandi”.

Notizie fresche di elaborazione provenienti da Eurostat, Istat, Fondazione Edison. La nostra economia dà segnali incoraggianti di ripresa e, per alcuni versi, di mantenimento di comportamenti virtuosi caratteristici del nostro Paese. Anche Barroso lo ha riconosciuto nel suo intervento al Meeting: rispetto agli altri partner europei l’Italia si trova in una situazione di vantaggio per quanto riguarda banche, debito privato, concorrenza e occupazione. Meno bene, come chiunque sa, per debito pubblico e deficit di bilancio.

Questo a livello macro. Sul piano delle singole imprese, dove peraltro è ovvio che i risultati di un’azienda sono importanti solo a segnalare la possibilità per tutti di ben operare, c’è il caso della rinascita della Innse di via Rubattino, periferia di Milano. L’anno scorso di questi tempi, lo si ricorderà, quattro operai di quest’azienda salirono sul carroponte per bloccarne la chiusura decisa dall’allora proprietà che voleva anche portarsi via i macchinari.

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Oggi, a un anno dall’ingresso come proprietario di Attilio Camozzi, imprenditore bresciano del settore, si lavora su tre turni per produrre enormi valvole per metanodotti e gasdotti: dei 49 operai che erano sono rimasti in 36, in 3 sono andati in pensione, 10 sono in cassa integrazione. Certo, neanche qui c’è dunque la perfezione, ma rispetto a un anno fa le cose sono sicuramente, e di molto, migliorate. A ben guardare siamo alle solite: media impresa, non piccola ma nemmeno grandissima, manifatturiera, di proprietà familiare e a chiara matrice imprenditoriale. Le caratteristiche della nostra impronta industriale ci sono tutte e sono lì a confermare, anche in questo singolo fortunato frangente, quello che siamo in grado di fare e ciò di cui non ci dobbiamo mai dimenticare.

 

Ciò che alla semplice osservazione appare evidente sembra sfuggire al fine ragionamento e ciò rilancia un compito: dare la maggiore visibilità possibile a quelle decine di migliaia di imprenditori che, nel silenzio della propria quotidianità, operano per permettere al Paese di raggiungere quei lusinghieri risultati che le statistiche riportano.

 

Nel frattempo la Cina ha superato in termini di Pil il Giappone salendo al secondo posto mondiale dopo gli Stati Uniti: significativa l’enfasi data dai giornali di tutto il mondo nel riportare la notizia. Tuttavia se invece del Pil nazionale si prendesse come unità di misura il reddito pro-capite, più interessante per valutare quanto la ricchezza di una nazione sia anche la ricchezza dei suoi cittadini e per paragonare nazioni molto diverse per grandezza, ecco che quello giapponese (37.800 dollari) risulterebbe essere più di dieci volte superiore a quello cinese (3.600 dollari), che è dunque ai livelli di quello albanese. Conclusione: una superpotenza di poveri.