A New York sta svolgendosi un dibattito sempre più acceso e che comincia a prendere dimensioni nazionali e, forse, internazionali. Si tratta della discussione sulla proposta di costruire un centro islamico e una moschea due isolati a nord di Ground Zero a Manhattan, un dibattito che contribuisce ad alimentare quello a livello nazionale sui limiti della libertà religiosa e sul significato ultimo dell’attacco terroristico contro gli Stati Uniti dell’11 settembre 2001,
In un articolo in prima pagina su The New York Times, il cronista Michael Barbaro descrive come ormai il dibattito abbia assunto dimensioni politiche nazionali. Leader Repubblicani ed esponenti conservatori hanno sollevato il problema in tutto il Paese.
Sarah Palin, per esempio, ha chiesto a tutti “i musulmani pacifisti” di respingere il progetto, definito una “inutile provocazione”. Un comitato di azione politica Repubblicano ha preparato uno spot pubblicitario in cui si attacca la proposta, mentre esponenti Repubblicani, come Newt Gingrich, lo hanno criticato nei loro discorsi (il progetto consiste in un grandioso complesso che dovrebbe raggiungere i 15 piani con un luogo di preghiera, un centro di spettacoli ed esposizioni, una piscina e un ristorante).
I funzionari del comune di New York sembrano pronti ad approvare il progetto. Barbaro sottolinea che per molti abitanti di Manhattan, Ground Zero è “un’area costruibile, cui si passa vicino come pendolari o che si guarda dalle finestre dell’ufficio. Per chi abita fuori città, tuttavia, rappresenta un campo di battaglia consacrato che deve essere protetto e commemorato” (sono parzialmente d’accordo con questa osservazione, perché credo che per molti newyorchesi questo luogo evochi tuttora un senso di paura e perfino di riverenza, anche se solo per qualche minuto prima di essere ripresi nel vortice della vita cittadina).
La dimensione interessante del dibattito è, naturalmente, quella religiosa. La penserebbero allo stesso modo gli oppositori del progetto se sul sito dovessero sorgere un centro ebraico e una sinagoga o una nuova chiesa cattolica dedicata, mettiamo, a Nostra Signora Regina della Pace o alla Madre Dolorosa? Quanti cristiani “pacifisti” si unirebbero agli oppositori del progetto?
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Cosa penserebbero quei laicisti, e anche quei leader religiosi, che approvano il progetto come un monumento ai valori americani e alla tolleranza religiosa? Perfino la Jewish Anti-Defamation League si oppone ora al progetto, dopo aver in parte etichettato l’opposizione al Centro come un “attacco bigotto”.
Per alcuni sostenitori del progetto (come il sindaco della città, Bloomberg, un ebreo) il Centro potrebbe diventare un luogo di dialogo tra le fedi, che aiuterebbe a prevenire l’estremismo religioso che ha portato all’attacco dell’11 settembre. New York City, dicono, è di per sé un monumento a come l’America accoglie la diversità ed è il posto ideale per un progetto simile.
Si direbbe che, per costoro, il carattere religioso del Centro dovrebbe essere visto più come un fatto culturale che come una dichiarazione di fede. Mi chiedo se i musulmani devoti la vedono in questo modo, seguendo l’esempio di quei cristiani che hanno difeso l’esposizione pubblica del Crocefisso come affermazione culturale e non come proclamazione della fede cristiana.
Questa controversia mi ricorda la disputa sorta, qualche decennio fa, sul progetto di una Croce vicino al campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia. A quel tempo, molti cattolici furono sorpresi, irritati e amareggiati dalla feroce opposizione ebraica. Allarmati dal rischio che la controversia danneggiasse il dialogo ebreo-cattolico e gli sforzi per superare secoli di dolorosi conflitti, alcuni esponenti ebrei americani si rivolsero al Cardinale O’Connor di New York perché spiegasse la loro posizione a Giovanni Paolo II.
Il Cardinale O’Connor accettò e, qualche mese più tardi, il progetto fu cambiato in modo da venire incontro alle obiezioni delle comunità ebraiche. Non conosco gli argomenti utilizzati dal Cardinale O’Connor, ma credo che abbiano riguardato le differenze tra la fede cristiana e quella ebraica sulla identità di Gesù e sul reale potere salvifico del suo sacrificio sulla Croce.
La decisione del Papa di soddisfare le obiezioni degli ebrei fu pertanto motivata non dalla sua volontà di celebrare la diversità o di salvare il dialogo interreligioso, ma dalla sua fede cristiana, mostrando la differenza con le altre due fedi originate dalla chiamata di Abramo.
Possono i musulmani trovare nella loro fede qualcosa che riesca a risolvere questa controversia? Questa rimane la domanda interessante.