Dopo il vivace scontro tra il Commissario europeo alla Giustizia Viviane Reding e il Governo francese, che ha animato negli ultimi giorni il dibattito politico europeo, è opportuno fare chiarezza su una questione, quella delle popolazioni rom, che merita tutt’altra considerazione e maggiore responsabilità da entrambe la parti in causa. A nulla serviranno alla lunga gli schiaffoni a distanza tra Bruxelles e Parigi con la Reding che ha perso la pazienza arrivando addirittura a paragonare (poi scusandosi) i rimpatri dei rom dalla Francia alle deportazioni di massa della seconda guerra mondiale e con Sarkozy che ha proposto di ospitare questi cittadini nel paese d’origine della Commissaria, il Lussemburgo.

Ieri, nel corso dei lavori del Consiglio europeo, lo stesso Sarkozy pare abbia discusso con il Presidente della Commissione europea Barroso, chiedendo, in maniera molto accesa, spiegazioni sulla procedura d’infrazione che verrà aperta contro il suo paese. Non è più il momento degli scambi di accuse o delle strumentalizzazioni politiche, ma è davvero il momento di aprire una riflessione seria e concreta sulle misure da prendere per risolvere i problemi di integrazione.

Il gruppo del Partito popolare europeo da molto tempo preme perché si realizzi una vera strategia europea per i Rom, un piano organico che sia davvero gestito a livello comunitario e che in modo preciso e puntuale possa contribuire all’integrazione dei Rom all’interno dell’Ue. I problemi si risolvono elaborando delle politiche efficaci, applicandole e verificandone la corretta applicazione.

Il Presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, ha giustamente avvertito che «il problema non è solo dei Rom o della Francia, ma di tutta l’Europa e dobbiamo affrontarlo insieme». Negare questo significherebbe negare la possibilità di risolvere un problema di epocale importanza soprattutto per le enormi implicazioni umanitarie e di diritti umani, ma significherebbe negare anche lo scopo stesso dell’Unione europea, come luogo nel quale cercare tutti insieme una soluzione ai problemi di pochi.

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Per cercare di comprendere al meglio quanto sia urgente riuscire a trovare una soluzione condivisa da tutti dobbiamo considerare il fatto che all’interno dell’Unione europea ci sono tra i 10 e i12 milioni di nomadi, è quindi impensabile che un movimento di persone di una tale vastità, che interessa pressoché tutti gli stati membri dell’Unione, non venga regolato adeguatamente a livello comunitario.

 

Fino ad oggi i paesi interessati da questo fenomeno (Francia e Italia su tutti) hanno agito ognuno per conto proprio rendendo sempre più evidente un paradosso: i paesi più virtuosi finiscono sempre per pagare più degli altri le conseguenze dell’immobilismo europeo.

 

Tutto ciò nonostante a dire il vero esista una direttiva, la 38 del 2004, che dovrebbe aiutare i paesi membri a gestire al meglio i flussi migratori e a punire chi non si comporta in maniera conforme agli standard minimi di convivenza civile, ammettendo il rimpatrio anche di cittadini comunitari, senza ovviamente fare riferimento ad alcuna etnia in particolare.

I governi degli Stati membri e la Commissione trovino al più presto un modus operandi per dialogare ognuno nel rispetto del proprio ruolo ma soprattutto nell’interesse dei cittadini europei, siano essi rom o meno. Questo dev’essere l’unico obiettivo per il quale è doveroso lavorare nei prossimi mesi, anche perché non dimentichiamo che mentre la politica è impegnata a litigare e a rinfacciarsi le colpe di una situazione da troppo tempo affrontata con leggerezza e indifferenza, migliaia di persone, in Europa, non in una chissà quale zona del terzo mondo, vivono di stenti forse proprio a causa di chi avrebbe la possibilità di rendere più dignitose le loro condizioni di vita.