Non so quanta attenzione il viaggio di Papa Benedetto XVI in Inghilterra e Scozia abbia ricevuto fuori dal Regno Unito, ma qui negli Stati Uniti i mezzi di comunicazione laici hanno dato scarso rilievo all’evento e, quando ne hanno parlato, si sono concentrati sulla questione della pedofilia.

A mio parere, questa assenza di attenzione non rappresenta necessariamente un gesto di spregio nei confronti del Papa o del cattolicesimo, ma mi pare piuttosto derivante da come è visto negli Stati Uniti il Papato, considerato una istituzione medioevale senza un ruolo determinante nella vita e nella storia americane.

Il Papato è cioè, al massimo, una guida etica e spirituale per i cattolici conservatori o tradizionalisti. Siamo quindi di fronte ai pregiudizi protestanti anticattolici del cristianesimo americano più che al crescente potere di un’aggressiva ideologia laicista. I protestanti pensano, ovviamente, da protestanti; ciò che è triste è vedere quanti cattolici negli Stati Uniti concepiscono la loro fede con una modalità protestante.

Non sono preparato a fare una dotta analisi di questa situazione, diciamo perciò che vorrei offrire solo le mie “impressioni”. Prendiamo, come esempio, la devozione ai santi nati nel proprio Paese.

Il 20 settembre la Chiesa universale celebra la festa dei martiri coreani, i Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni. Ecco quanto la Liturgia delle Ore dice di loro (tutto ciò che io e la gran parte dei non coreani conosciamo):

“Per secoli, la Corea è stata chiusa a ogni influenza esterna e tutti i contatti con gli stranieri erano proibiti, per cui nessun missionario vi poteva entrare. Tuttavia, ogni anno una delegazione coreana si recava a Pechino e durante queste visite diversi laici cercavano di conoscere il massimo possibile sul mondo esterno. Alcuni di loro si convertirono, avendo avuto modo di leggere dei libri sul cristianesimo.

Data la segretezza in cui tutto questo avvenne, è impossibile datare con precisione l’inizio del cristianesimo in Corea. Potrebbe essere iniziato già nei primi anni del diciassettesimo secolo, ma il primo battesimo di cui si ha notizia certa è quello di Yi-Soung-Houn, battezzato con il nome di Pietro durante una visita a Pechino nel 1784.

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I primi martiri conosciuti sono Paolo Youn e Giacomo Kouen, che nel 1791 rifiutarono di offrire sacrifici in occasione della morte di loro familiari. Nei cento anni successivi, furono uccisi più di dieci mila cristiani coreani, con grandi crudeltà, e molti altri morirono.

 

Per la maggior parte di questo periodo, la Chiesa in Corea non ebbe preti e fu costituita solo da laici. Il primo prete, un francese, entrò nel Paese nel 1836 e fu decapitato tre anni dopo. Andrea Kim Taegon, il primo prete coreano che era stato preparato segretamente a Macao, ritornò in Corea nel 1845 e fu giustiziato nel 1846, insieme a suo padre.

 

Un apostolo laico, San Paolo Chong Hasang e molti altri perirono nello stesso periodo. Nel 1866 vi fu un’altra grande persecuzione. Oggi si celebrano 103 martiri coreani: sono per la maggior parte laici, uomini e donne, sposati e no, vecchi e giovani, e persino bambini”.

 

Ecco le parole di Papa Giovanni Paolo II: “La Chiesa coreana è unica, perché fondata interamente da laici. Questa Chiesa appena nata, così giovane eppure così forte nella fede, ha resistito a ondate su ondate di persecuzione feroce. Così, in meno di un secolo, ha potuto gloriarsi di 10000 martiri. La morte di questi martiri è diventata il lievito della Chiesa e ha portato oggi allo splendido fiorire della Chiesa di Corea. Il loro immortale spirito sostiene tuttora i cristiani della Chiesa del Silenzio nel Nord di questa terra tragicamente divisa.” (canonizzazione dei Martiri Coreani, 6 maggio 1984).

 

Mi hanno detto che per la maggior parte dei cattolici coreani il 20 settembre è un gran giorno e che il martirio di questi santi, venerato da tutta la Chiesa universale, continua a rimanere inseparabile dall’identità del popolo coreano, al di là delle convinzioni religiose.

 

Vediamo ora cosa è successo invece con Santa Elizabeth Ann Seton, la prima santa nata negli Stati Uniti, a New York il 28 agosto del 1774 e cresciuta nella Chiesa Episcopale. Sua madre era la figlia di un prete di questa Chiesa, morta quando Elizabeth aveva tre anni. A diciannove anni sposò William Magee Seton. Un ricco uomo d’affari, da cui ebbe cinque figli.

 

L’azienda di suo marito perse diverse navi in mare e la famiglia finì in bancarotta. Subito dopo, suo marito cadde ammalato e dovette trasferirsi in Italia per via del clima più caldo, accompagnato da Elizabeth e la loro figlia maggiore. Arrivati In Italia, vennero messi in quarantena, durante la quale il marito morì, e lei fu ospitata da una ricca famiglia amica, attraverso la quale venne a contatto con il cattolicesimo.

 

Due anni dopo, tornata negli Stati Uniti, si convertì alla Chiesa Cattolica Romana, il marzo del 1805, e fu ricevuta nella Chiesa dal parroco di San Pietro, a quel tempo l’unica chiesa cattolica aperta nella città, grazie alla recente revoca delle leggi anticattoliche nella nuova Repubblica americana.

 

Per aiutare i suoi figli, Elizabeth diede inizio a una scuola, ma non ci riuscì per l’intolleranza anticattolica di quell’epoca. Circa in quello stesso periodo, incontrò per caso un prete della congregazione francese dei Padri Sulpiziani. Questi sacerdoti erano fuggiti dalle persecuzioni religiose in Francia e avevano trovato rifugio negli Stati Uniti, dove stavano per aprire il primo seminario cattolico del Paese, in osservanza della missione del loro ordine.

 

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Nel 1809, Elizabeth accettò l’invito ad aiutare i Padri Sulpiziani e si trasferì a Emmitsburg, nel Maryland. Un anno dopo fondò la Accademia e Scuola Libera di San Giuseppe, una scuola dedicata all’educazione delle ragazze cattoliche, con il supporto finanziario di un ricco convertito, seminarista all’appena istituito Collegio e Seminario di Mount St. Mary.

 

Elizabeth, infine, fondò una comunità religiosa a Emmitsburg con la missione di dedicarsi alla cura dei figli dei poveri. Fu la prima comunità religiosa non conventuale di suore degli Stati Uniti e la sua scuola fu la prima scuola libera cattolica del Paese. L’ordine prese il nome di Suore della Carità di San Giuseppe. Il resto della vita di Elizabeth fu speso nella guida e nello sviluppo della nuova congregazione e, oggi, sei distinte comunità religiose traggono le loro origini dagli umili inizi delle Suore della Carità a Emmitsburg.

 

Santa Elizabeth, morta di tubercolosi all’età di 46 anni nel 1821, fu beatificata da Papa Giovanni XXIII il 17 marzo 1963 e canonizzata da Papa Paolo VI il 14 settembre 1975. È stata la prima persona nata negli Stati Uniti a essere canonizzata ed è festeggiata il 4 gennaio. Nel 2009 è stata inserita nel Calendario dei Santi della Chiesa Episcopale degli Stati Uniti, con un giorno festivo minore il 4 gennaio.

 

Ricordo molto bene il giorno della sua canonizzazione. I media laici diedero molta attenzione all’evento e per i cattolici americani fu non solo un giorno di gioia e speranza, ma anche una festa patriottica. La sua vicinanza con la Rivoluzione americana rendeva un santo cattolico parte della storia della nazione. Ora non è più così.

 

Come ho scritto su queste pagine qualche mese fa, in primavera andai a visitare una persona ricoverata nell’ospedale dove era avvenuto il miracolo che ha portato alla canonizzazione di Santa Elizabeth Ann Seton. È tuttora un ospedale cattolico, ma nessuno sa niente del miracolo e neppure un granché di Elizabeth. Infatti, a parte un piccolo ritratto all’entrata di una piccola cappella (dove non veniva celebrata alcuna Messa e il Santissimo Sacramento non era custodito) non vi era nessun segno che la collegasse a Santa Elizabeth Ann Seton.

 

Cosa è successo? Il punto è che, a parte una pietà personale e un’ispirazione di tipo etico, la santità non viene considerata un fattore della storia e del destino della nazione. Questo è il pregiudizio protestante al quale hanno ceduto molti cattolici americani, indipendentemente dal credo politico.

Forse ci aiuteranno a fare memoria gli Episcopali americani.