La bellezza salverà l’Italia

Legalismo senza giustizia e caso Ruby: a cosa ci porterebbe, si chiede LUCA DONINELLI, un moralismo senza Bellezza?

In questi giorni siamo stati messi tutti di fronte a casi – di cui il “caso Ruby” è senza dubbio il più spettacolare, almeno per noi italiani – nei quali la tentazione forte è stata quella di giudicare (ognuno di noi avrà certamente il suo giudizio sull’argomento) secondo un criterio ultimamente astratto. C’è chi ha invocato principi morali intangibili; chi ha messo l’accento sul discredito che vicende come questa gettano, a ragione o a torto, sul nostro paese; ma c’è anche chi ha visto nel nostro presidente una specie di martire o di benefattore. Si potrebbe dire che una specie di “fronte etico” si sia contrapposto a un costume godereccio ed estetizzante che porterebbe l’Italia alla rovina.

Forse sarebbe meglio per tutti se partissimo, nei nostri giudizi, da noi stessi, compiendo un’operazione che non compiamo molto spesso: quella di prestare attenzione alle nostre esigenze reali, alle nostre domande, a quello di cui, come persone e come cittadini giustamente preoccupati di offrire dell’Italia un’immagine migliore (che è quella che meritiamo) abbiamo realmente bisogno.
Io sono un cittadino fiducioso, e penso che se la fiducia vien meno possiamo andarcene tutti a casa, altro che 150 anni dell’Italia unita. Ho dunque fiducia nella giustizia italiana e penso che chi la amministra sappia che il suo compito è innanzitutto quello di accertare i fatti e di valutarne secondo giustizia (e non solo secondo legalità) la reale gravità.

La mia preoccupazione riguarda piuttosto il nostro paese, il futuro che ci aspetta, rispetto al quale la colpevolezza o innocenza di Berlusconi è solo un dettaglio.
A cosa ci porterebbe un moralismo senza bellezza? Dove mai potremmo andare, noi italiani, il giorno in cui calasse su di noi una cappa di legalismo senza giustizia, cioè senza la consapevolezza dello scarto che esiste tra la giustizia, che è un mistero, e le leggi, che sono il nostro modo precario e perfettibile di interpretarla? Noi, che abbiamo costruito questo splendido e drammatico paese sulla risorsa che più ci appartiene, ossia la capacità di generare bellezza, novità di vita, solidarietà anche nelle situazioni più difficili?

La bellezza è qualcosa di più. E se dall’altra parte, sul banco degli accusatori, siede una generazione di moralisti che possono avere ragione su tutti i punti ma questo non impedirebbe loro di produrre un’Italia tetra e senza slanci, senza amore e senza quella spregiudicatezza di cui abbiamo bisogno come dell’aria.
La questione vera si chiama: Bellezza. E’ questo il punto decisivo. La più bella definizione della bellezza che io abbia mai incontrato è di San Tommaso d’Aquino, ed è anche la più semplice: “Chiamiamo bello ciò che, visto, piace.”
 

Occorrono perciò, affinché ci sia la bellezza, due cose.
Una è il piacere. E’ necessario che la realtà susciti in noi una vera attrattiva, che nasce a sua volta da una domanda, da un interrogativo. Se la realtà non suscita in noi nessuna domanda non ci sarà piacere vero, ma solo la sua caricatura estetizzante e superficiale, una consumazione delle cose che lascia soli e delusi.

L’altra cosa necessaria è quella che S. Tommaso chiama il “vedere”, la “visione”. Ne parla Dante in tutta la sua opera. La donna amata dà per li occhi una dolcezza al core/ che ‘ntender no la può chi no la prova. La bellezza vera è un’esperienza alla quale è estraneo il possesso. Non perché possedere qualcosa sia sbagliato (è meglio avere una Ferrari che stare solo a guardarla) ma perché l’esperienza del bello ci rivela la realtà come qualcosa che radicalmente non ci appartiene. Il senso ultimo di tutte le cose è mistero.

La bellezza sta nel frammezzo tra la passione dell’uomo che investe la realtà con la sua voglia di conoscerla e dominarla e la consapevolezza che essa è mistero, e perciò non può essere veramente “nostra”. Attraverso il bello noi scorgiamo la presenza della Mano che fa le cose, e ne proviamo un giusto timore.

Questo vale per l’arte e la poesia come per la matematica: ho sentito grandi matematici raccontare l’esperienza straordinaria della bellezza che si rivela in certi momenti del loro lavoro, quando l’intero (di un teorema, di un modello, di una teoria) si rivela come quando, durante una gita in montagna, usciti dal fitto del bosco d’un tratto il paesaggio si spalanca, e noi vediamo le cime, le vallate, i paesi, le aquile che volano, in alto.

Non voglio darmi al lirismo. Voglio solo dire che questa esperienza è il cemento che ha prodotto, nella libertà talora pacifica e talora irrequieta e perfino tragica, questa cosa eccezionale che chiamiamo Italia. Ed è questo il punto senza il quale interrogarci sul futuro del paese sarebbe solo un triste elenco di tutti i campi nei quali verremo inevitabilmente superati da altri popoli più intraprendenti e più vogliosi di riscatto di quanto lo siamo noi.

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