Oggi voglio scrivere sul cosiddetto movimento “Occupy Wall Street” (Ows), anche se non ho la minima idea se, quando leggerete questo articolo, Ows si sarà rivelato una moda passeggera, sostenuta dalla copertura dei media, o se si sarà affermato come un elemento significativo della storia americana. Ho letto recentemente un articolo di Don Javier Prades-Lopez su un movimento simile in Spagna, che può aiutare a giudicare meglio il significato di Ows.

Secondo Prades, “quando una settimana prima delle elezioni regionali e comunali, le piazze di diverse città spagnole – emblematicamente la “Puerta del Sol” di Madrid – sono state occupate da centinaia di giovani e meno giovani è nato il cosiddetto ‘movimento 15-M [del 15 maggio]’. La stampa ha subito azzardato un paragone fra queste occupazioni e quelle vissute pochi mesi prima in alcuni paesi a maggioranza islamica, la cui immagine simbolo rimane la Piazza Tahrir.” Questo paragone (fatto per un po’ anche negli Usa) non può essere sostenuto, afferma Prades, secondo il quale l’unica analogia possibile è che “questi movimenti esprimono un disagio profondo”.

Qual è la vera causa di questo disagio? La protesta chiamata “Occupy Wall Street” è iniziata a settembre con un piccolo presidio di giovani attivisti con obiettivi non facilmente individuabili, che è stato ignorato dalla maggior parte dei media, per poi diventare oggetto di ridicolo, cosa forse non del tutto sorprendente. A questo punto è accaduto qualcosa di strano: il movimento è esploso in una serie di dimostrazioni a livello nazionale, ottenendo l’appoggio di sindacati e di gruppi progressisti, e si è incominciato a paragonarlo al potente movimento del Tea Party e ai dimostranti per la democrazia di Piazza Tahrir.

La storia è iniziata il 9 giugno, quando la rivista canadese anticonsumista Adbusters ha registrato il dominio OccupyWallStreet.org, in cui si invitava a manifestare il 17 settembre e “a invadere in 20.000 Lower Manhattan, con tende, cucine e pacifiche barricate, occupando Wall Street per qualche mese”, chiedendo “democrazia, non corporatocrazia”. Ad agosto, Anonimous, un collettivo “attivista”, ha diffuso un video in cui manifestava il suo sostegno alla protesta e incoraggiava i propri membri a partecipare. In settembre, sostenitori di Ows hanno cominciato a postare loro foto e storie in una nuova pagina Tumblr “Siamo il 99%”, lamentando il fatto che la bersagliata maggioranza non ha “nulla, mentre l’altro 1% ha tutto”.

Il 17 settembre è iniziata la protesta, con circa 1000 persone su è giù per Wall Street, che si sono poi sistemate in Zuccotti Park. Due isolati a nord di Wall Street. Il 20 settembre, la polizia ha cominciato ad arrestare manifestanti mascherati, utilizzando una sconosciuta legge risalente al 1845 che proibisce i raduni con maschere, eccetto nel caso di “una festa in maschera o simili”. Il 24 settembre, circa 80 persone sono state arrestate durante un corteo non autorizzato, e il video dell’evento – soprattutto l’uso di spray al pepe contro un gruppo di donne – ha fatto guadagnare a Occupy Wall Street la sua prima ampia copertura mediatica. Contemporaneamente, a Chicago è partita un’analoga protesta.

Per tutto il resto di settembre, diverse celebrità hanno cominciato ad appoggiare le proteste. Il 28 settembre, Transport Workers Union Local 100 è stata la prima grande organizzazione sindacale a sostenere Ows con una votazione tra i suoi aderenti. Il 1° ottobre, 700 manifestanti sono stati arrestati nel corso di un corteo sul ponte di Brooklyn. Alcuni dimostranti sostengono che la polizia li ha di proposito spinti e intrappolati sul piano stradale del ponte, che si sviluppa su più livelli; la polizia afferma di aver diffidato i manifestanti a rimanere sul piano pedonale. Questo arresto di massa ha portato la protesta sulle prime pagine dei giornali e tra le principali notizie dei telegiornali.

Proteste ispirate a Ows sono iniziate a Washington, D.C., per poi estendersi a tutto il territorio nazionale, incluse Boston, Memphis, Minneapolis, St. Louis, Hawaii, e Portland, Maine. Il 5 ottobre, almeno 39 organizzazioni, comprese il più grande sindacato di New York City e MoveOn.org (un gruppo di pressione di orientamento progressista, ndr), si sono unite a Occupy Wall Street per una marcia attraverso il quartiere della finanza di New York. Gli organizzatori hanno stimato i partecipanti tra i 10.000 e i 20.000; i media indicano un numero inferiore a 15.000. Nella serata è “scoppiato il tumulto”, quando la folla ha superato le barriere della polizia e i poliziotti hanno “pestato i dimostranti con i manganelli, spruzzandoli con il macis”. Il candidato repubblicano alla presidenza Herman Cain si è espresso così su Ows: “Non accusate Wall Street, non accusate le grandi banche, se non avete un lavoro e non siete ricchi, accusate voi stessi!.

Il 6 ottobre, circa 4.000 manifestanti hanno sfilato a Portland, Oregon. Altre manifestazioni si sono svolte a Houston, Austin, Tampa e San Francisco. Intervistato su Occupy Wall Street, il presidente Obama ha dichiarato: “Penso che esprima le frustrazioni di cui soffrono gli americani, la più pesante crisi finanziaria dalla Grande Depressione, gli enormi danni collaterali per tutto il Paese… e malgrado ciò vi sono alcuni di quegli stessi che si sono comportati così irresponsabilmente che cercano di opporsi agli sforzi per far cessare le prassi scorrette, causa prima dello stato in cui ci troviamo”.

In mezzo a tutto questo rimane difficile identificare la causa alla radice del “disagio” e magari non vi è altro se non la politicizzazione della crisi economica. Tuttavia, leggendo l’analisi di Prades delle proteste in Spagna, sono arrivato a questa conclusione, se ci si può porre la domanda: la democrazia americana ha cominciato a raggiungere quel livello di secolarizzazione ideologizzata in cui lo Stato liberale “vive di presupposti normativi che esso stesso non è in grado di produrre?”.

In questo momento mi sento incapace di rispondere a questa domanda, sebbene sia convinto dell’importanza di porla. Ciò di cui abbiamo bisogno è una versione americana del famoso dialogo tra Ratzinger e Habermas.

Ancora con le parole di Prades: “è decisivo riprendere un lavoro culturale proprio a partire dal disagio. Dobbiamo comprenderne la natura perché […]. non è soltanto sociopolitico, come tendono a pensare politici e opinionisti, né soltanto culturale o morale: ultimamente è antropologico e religioso […]. il nostro protagonismo deve essere innanzitutto di tipo educativo e culturale. L’ipotesi che proponiamo è che il disagio è sempre sintomo incancellabile di quel ‘complesso di esigenze ed evidenze’ che costituiscono l’esperienza elementare di ogni uomo. Se non riuscissimo a cogliere in noi l’esigenza illimitata di giustizia, di verità o di bene, non potremmo identificarne la traccia anche nei manifestanti, e saremmo inevitabilmente portati a proporre soltanto misure di tipo sociale o lavorativo, come risposta al loro disagio”.

Qui in America non dovrebbe essere difficile trovare i nostri Habermas, ma dove sono i nostri Ratzinger?