L’Italia è stato l’unico Paese in cui ci sono stati gravissimi disordini nella giornata internazionale contro la speculazione finanziaria e lo strapotere delle banche. È incredibile che la logica della violenza para-terroristica di chi ha organizzato, pianificato e animato la guerriglia urbana sia la stessa della grande speculazione di Wall Street: l’Italia viene aggredita perché è un lato debole dell’Europa di oggi. È un Paese su cui scatenare la rivolta, un Paese da aggredire.

La piazza dei violenti ha agito come Piazza Affari, specula contro la debolezza del Governo, la crisi della politica, la paura e la povertà della gente. Nella storia è capitato spesso: chi si contrappone ufficialmente a un certo “nemico” ne riproduce la stessa logica. I black bloc sono per certi versi identici ai colletti bianchi della City e di Wall Street: vogliono distruggerci, ridurre la nostra sovranità, impedirci di fare le scelte giuste. Proseguono l’aggressione contro il nostro Paese sotto un’altra forma, quella odiosa della violenza urbana e della caccia al poliziotto.

Gli indignati italiani avrebbero dovuto prevedere questo clamoroso fallimento. Alla vigilia nessuno si è preoccupato di sottolineare i rischi della violenza, molti si sono rifiutati di condannarla. Pochissimi si sono imposti il metodo necessario e rigoroso della non violenza. Era da prevedere lo scempio della parrocchia di San Marcellino a Roma, con l’atto simbolico e blasfemo della Madonna sfregiata sul selciato e il crocifisso bruciato in strada. 

È assurdo e un po’ vergognoso accusare oggi le forze dell’ordine. Come diceva già Pier Paolo Pasolini per i disordini di Valle Giulia, la “lotta di classe” ha visto da una parte giovani dipendenti statali a 1200 euro al mese (carabinieri e poliziotti) rischiare la vita per lo Stato e dall’altra i figli delle classi più agiate giocare alla rivoluzione. La gente normale ha tifato per i primi. Ed è indignata con i secondi. È un fallimento, questo, che dovrebbe lasciare amareggiate le persone intelligenti e tutti coloro che amano la democrazia e il confronto.

Il movimento internazionale degli Indignados, ma soprattutto quello newyorchese di “Occupy Wall Street”, ha posto di fronte al mondo il tema di uno sviluppo economico profondamente ingiusto e basato sulle rendite finanziarie e la speculazione. La crisi globale che tutti stiamo pagando è stata originata da questo: la ricchezza reale della gente è stata triturata dalla speculazione finanziaria. 

A un certo punto il re è diventato di colpo nudo, si facevano soldi su una ricchezza che non c’era più. Ma invece che correggere il sistema, aggiustare il tiro, riportare il mondo della finanza sul terreno della realtà, dal 2008 a oggi si è fatto pagare il prezzo alla ricchezza di tutti. È mancata la politica. E si è capito che i primi cinque grandi speculatori finanziari di Wall Street contavano più di qualsiasi Stato sovrano, di qualsiasi Obama, di qualsiasi Merkel. 

Gli unici a sbatterlo in faccia al mondo dei potenti sono stati i ragazzi di Wall Street, non a caso loro sì oggetto di una rabbiosa, ingiustificata e clamorosa repressione poliziesca davanti a tutto il mondo. La reazione a tutto ciò dovrebbe essere un sussulto della politica che, come sostiene il filosofo Zizek che ha tenuto un comizio improvvisato a quei ragazzi (leggi Il Corriere della Sera dell’11 ottobre “Indignati di Wall Street a lezione di filosofia”), andrebbe “ri-politicizzata”.

Paradossalmente ci vorrebbe la forza del compromesso, dell’unione tra diversi, della collaborazione tra interlocutori di destra e di sinistra, a livello di ogni singolo Paese, ma anche e soprattutto a livello europeo e globale. La politica dovrebbe impegnarsi nella scelta strategica di un modello di sviluppo, da condividere e da imporre agli attori dell’ “imperialismo internazionale del denaro”, come la grande saggezza della Chiesa cattolica ha sempre chiamato questa realtà. È ancora possibile? Non lo so, ma è l’unica speranza che abbiamo.