Il nuovo governo Monti si troverà a dover gestire una riforma delicatissima, che ha prodotto una catena di ben otto decreti legislativi, ormai in vigore, e un decreto correttivo ora all’esame della Conferenza unificata. Tutto questo processo apre una fase di estrema importanza, con parecchi provvedimenti di attuazione da emanare già nelle prossime settimane, alcuni molto urgenti. E’ una partita decisiva perché incide su un comparto (quello di Regioni, Province e Comuni) dove si gioca un terzo della spesa pubblica italiana, con ricadute su settori come la sanità, gli investimenti locali, i servizi sociali, ecc.  La riforma inizierà a produrre i suoi effetti dal 2012 e si tratterà di risultati storici: basti pensare che il cuore di tutto l’impianto è il superamento del principio demenziale della spesa storica (più spendi, più prendi e se fai un buco lo Stato lo ripiana), rimasto in vigore e stratificatosi per quarant’anni: un vero e proprio epitaffio tombale sul principio di responsabilità. I primi fabbisogni standard saranno disponibili già a fine anno e introdurranno un nuovo criterio di responsabilità nell’uso delle risorse pubbliche. Oggi esistono enormi divari nei trasferimenti pro capite: esistono Comuni che ricevono fino a 5/6 volte le risorse pro capite di altri, senza che esista nessuno studio sull’effettivo fabbisogno, ma solo in base al fatto che hanno storicamente speso di più, magari e spesso solo per sprechi. E’ evidente quanto sia delicata la gestione del passaggio dalla spesa storica alla spesa standardizzata; di come possa favorire comportamenti virtuosi a patto che sia gestita con cura. Sempre nel 2012 si avvia il processo di armonizzazione dei bilanci regionali e locali: si introducono principi innovativi di trasparenza (alcuni bilanci non si sono dimostrati minimamente attendibili) come la contabilità economica e il bilancio consolidato con quel sistema di società partecipate dai Comuni intorno a cui gravitano, in alcuni casi, risorse finanziarie addirittura maggiori di quelle dei Comuni stessi. Le stesse elezioni amministrative del 2012 (vanno al voto oltre mille comuni) si dovranno svolgere sulla base di un bilancio di fine mandato, certificato da organi interistituzionali e pubblicato sul sito del Comune venti giorni prima delle elezioni, in modo da rendere chiari ai cittadini i saldi finali e iniziali di ogni gestione politica.  



Spesso è infatti accaduto che il sindaco uscito vittorioso dalle elezioni si trovasse subito a denunciare (veri o presunti) buchi ereditati dalla gestione precedente e non iscritti nel bilancio del Comune (ultimo caso: Pisapia che si è trovato a denunciare un buco pregresso di 150 milioni di euro).  In sintesi: tutto il processo del federalismo fiscale ha costituito un deciso – e in gran parte condiviso anche dall’opposizione – intervento in favore di una nuova ragionevolezza del sistema, superando ataviche disfunzioni tutte italiane, contrastando quei meccanismi all’interno dei quali maturano sprechi ed inefficienze, che impediscono una seria cultura della responsabilità. E’ un processo che si appresta ora a portare i suoi frutti (il 2012 sarebbe il big bang del federalismo fiscale) e che ha richiesto un lungo periodo di gestazione, perché quaranta anni di vigore del criterio e della cultura della spesa storica non si potevano cambiare in un giorno, ma sono stati necessari tre anni di lavoro, di analisi, di processi, di confronti. Perdere, o lasciare morire “per abbandono”, questo processo di razionalizzazione solo per effetto della discontinuità politica sarebbe un danno gravissimo per il nostro sistema, che ripiomberebbe nelle ataviche disfunzioni precedenti, nate negli anni della finanza allegra e mai cambiate, che hanno favorito rendite e sprechi, impedendo ai comportamenti virtuosi di porsi come modello per altri. Sulla delicata fase di attuazione che potrà portare nel 2012 ai risultati accennati è necessario quindi un serio impegno, anche bipartisan. Peraltro, la perdita di una riforma che ha richiesto tre anni di lavoro tecnico e parlamentare non sarebbe certo un segnale positivo per i mercati che chiedono appunto riforme strutturali.

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