Questa settimana, mentre conducevo delle ricerche sulle interpretazioni correnti del diritto alla libertà religiosa come risulta dalla Costituzione americana, sono capitato su un nuovo spettacolo televisivo che, mi ha fatto pensare, avrebbe portato questa questione di fronte a normali americani che vivono in questa società così pluralistica riguardo alle religioni. Mi riferisco allo show “All- American Muslim” (musulmani tipicamente americani) sulla canale via cavo The Learning Channel (TLC). Si tratta di un reality molto popolare, con protagonisti presi dal vero, senza sceneggiatura scritta e, forse, neppure con situazioni preordinate, almeno non troppo. La serie, che è iniziata domenica sera, ha per protagonisti cinque famiglie di musulmani americani che vivono a Dearborn, nel Michigan, dove c’è la più grande moschea degli Stati Uniti.
Questa prima puntata si è incentrata sugli effetti che la fede islamica ha sulla vita di questi americani, concentrandosi sul matrimonio incombente di Shadia, una giovane musulmana con tatuaggi e piercing, con Jeff, il suo fidanzato irlandese e cattolico, “un felice sprovveduto”, nelle parole di un commentatore. Lo spettacolo non ha toni apertamente predicatori, ma usa un tono abbastanza neutro nel rispondere alla curiosità degli spettatori sui musulmani, specialmente quando si parla del matrimonio tra Shadia e Jeff.
Cronaca sociale che non rinuncia all’intrattenimento, All-American Muslim racconta “una storia che non è stata raccontata spesso alla televisione americana”. É un “ reality più gentile, delicato” dice Christian Toto a Big Hollywood. Forse troppo gentile: a volte può “sembrare un video delle relazioni pubbliche” fatto per mostrare agli spettatori come quelle musulmane siano famiglie normali, che non devono essere temute. Lo spettacolo è tuttavia sufficientemente chiaro sugli “aspetti meno lusinghieri della fede islamica”.
Molti commentatori pensano che i produttori abbiano esagerato nei loro sforzi di evitare che All-American Muslim divenisse The Real Housewives of Dearborn (è il titolo di una serie di reality incentrati sulla vita di un gruppo di casalinghe, ndr), dice Hank Steuver su The Washington Post. Le protagoniste sono state scelte ovviamente “per il loro esemplare orgoglio civico e culturale” e non per la loro “propensione a insultarsi”. Il risultato è “costantemente onesto e prudente” all’eccesso. All-American Muslim proclama il diritto inalienabile delle famiglie islamiche a “essere scialbe come tutte le altre”.
Cosa tutto questo ha a che fare con il dibattito politico e giuridico attualmente in corso negli Stati Uniti su cosa significhi la libertà religiosa? Forse niente, forse tutto. Si dice che il nichilismo americano, a differenza di quello europeo, tenda a rendere Dio irrilevante sociologicamente, non promuovendo l’incredulità, ma spingendo a credere qualunque cosa su di Lui (o Lei), così che l’esperienza del Mistero è ridotta a un’emozione psicologica senza alcun contenuto, eliminando in questo modo la sua capacità di creare divisione.
Questo è ciò che la libertà religiosa sta cominciando a voler dire in alcuni settori della società americana: il diritto a essere ottusi come tutti, o sprovveduti come il fidanzato irlandese e cattolico dello show.