Tra lo spread che non scende e chi scommette sulla fine dell’euro, credo sia ormai evidente a tutti che la partita della crisi si gioca a livello europeo. Che sia così è ovvio, eppure per arrivare alla consapevolezza di questo dato elementare ci sono voluti mesi. In Italia, per esempio, c’è chi per molto tempo ha continuato ad alimentare l’illusione che il problema si sarebbe risolto semplicemente con un cambio di governo. Oggi, al di là dei meriti o dei demeriti di Berlusconi, vediamo che le cose stanno diversamente.



Di fronte all’emergenza, adesso ci sono in campo ipotesi che vanno dalla necessità di anticipare l’entrata in vigore del nuovo Fondo salva-stati alla ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea, sul modello della Fed, come prestatore di ultima istanza per i governi nazionali. In ogni caso appare chiaro che non c’è moneta comune che tenga se dietro non c’è un’istituzione che ne sia garante.



Una situazione difficile e complessa, dunque, nella quale non si può non dare un’apertura di credito al nuovo governo guidato da Mario Monti. È anzitutto questione di realismo. Se dovesse fallire sarebbe una sconfitta per tutti. Soprattutto ci auguriamo che riesca a fare quelle riforme non più rinviabili, anche se impopolari, col più ampio consenso delle forze politiche responsabili. Insieme a questo impegno, c’è però da riconsiderare l’impalcatura generale dell’Unione europea. O si arriva a una vera coesione politica, che deve andare di pari passo a una capacità di presidio fiscale e finanziario, oppure l’Europa rischia di diventare non un sogno che si realizza, ma un’entità lontana, ingombrante, per certi versi finanche fastidiosa. Oggi purtroppo ci troviamo di fronte al classico gigante dai piedi d’argilla, dove basta un Paese in difficoltà a far tremare l’intero edificio.



Con altrettanto realismo occorre considerare quali siano i soggetti dai quali ripartire per costruire il futuro. Al primo posto credo vada messa la famiglia per la quale, a parte tante dichiarazioni di principio, non si è mai fatto nulla di concreto. E, si badi bene, non è una questione confessionale. Riconoscere l’insostituibile ruolo sociale svolto dalla famiglia è prima di tutto un problema di intelligenza. Senza di essa il nostro sistema di welfare non reggerebbe e la capacità di risparmio sarebbe fortemente ridotta. Sono constatazioni che derivano della semplice osservazione della realtà, non dal fatto di essere credenti o meno. Lo sostiene anche un laico come Massimo Cacciari, secondo il quale la famiglia “svolge una funzione di servizio e assistenza senza la quale nel nostro Paese saremmo a catafascio da quel dì”.

L’altro pilastro fondamentale per la società sono le imprese. Anche qui credo occorra partire dai fatti. Tra gli slogan del tipo “piccolo è bello” o “grande o niente” la realtà ci dice che il dato dimensionale non è un dogma, e che un mix garantisce uno sviluppo più equilibrato. Ma ciò non vuol dire che non occorra aiutare chi è piccolo ad avere una struttura più forte. Sono tante le analisi, a cominciare da quelle di Mediobanca, da cui risulta che le medie imprese sono le più efficienti: garantiscono una migliore qualità occupazionale, si sono dimostrate capaci di resistere alla crisi e hanno in genere un’adeguata disponibilità di risorse per fare ricerca e innovazione e competere sui mercati internazionali. Queste aziende possono perciò costituire un serbatoio formidabile di energie per far ripartire lo sviluppo del Paese.

A corollario va nuovamente sottolineato il ruolo decisivo della finanza. Demonizzarla a priori come spesso sbrigativamente si tende a fare di questi tempi, è un pericoloso errore. Un mercato europeo dei capitali efficiente è un alleato essenziale per aiutare le imprese a crescere.