La nostra cronaca nera non è, purtroppo, avara di delitti sconcertanti. Non parlo di quelli che vengono agganciati dai media e trasformati in macabra telenovela; parlo di quelli che si affacciano per pochi giorni nelle pagine dei quotidiani o nella parte finale dei telegiornali e poi si dimenticano. Delitti, dicevo, sconcertanti, perché non esiste assolutamente nessuna proporzione tra la causa e il tragico effetto. Penso al taxista assalito perché aveva investito un cane, alla signora picchiata a sangue per una questione di precedenza alla biglietteria della metropolitana. E penso a quanto è successo nel centro storico di Cremona lo scorso 19 novembre.
Un autista prepotente occupa abusivamente il parcheggio riservato all’automobile di una persona portatrice di handicap. Il legittimo proprietario scende da casa e discute animatamente con l’intruso. Il battibecco degenera in litigio; qualche parola di troppo, qualche colpo sul cofano, poi il parcheggiatore abusivo sale in macchina e, accecato dalla rabbia, se ne va. Solo dopo pochi metri si accorge di aver investito l’altro. Impaurito scappa; saputo poi che questi era morto si costituisce.
Già di per sé è sconcertante che si giunga a un simile epilogo per una questione che si sarebbe potuta comporre del tutto civilmente. Ma lo sconcerto diventa attonita desolazione quando si viene a sapere che il morto aveva 76 anni e l’assassino ne ha 72. Due vecchi. Diciamola pure questa parola poco garbata, questa parola esorcizzata da eufemismi dolciastri che non riescono a nascondere le rughe del dato di fatto.
Due vecchi. Da sempre la vecchiaia rimanda a una saggezza portata dagli anni e dal fatto di averne viste tante; la vecchiaia fa pensare alla pacatezza di chi ha preso le misure dei casi della vita e sa ciò che vale e ciò che invece è passeggero. Sono i giovani che si arrabbiano per un nonnulla, che tendono a far fuori ogni diverbio a suon di pugni, che sbattono la porta e se ne vanno quando sono colti in flagrante errore. Può essere che il caso di cui stiamo parlando sia un’eccezione. Eppure non sono convinto.
Si parla spesso delle mutazioni cui sono soggette le nuove generazioni; poco si dice, invece, di quelle che riguardano la cosiddetta terza età (salvo una sciocca insistenza su un giovanilismo finalizzato al consumo: le mamme-nonne, la moda ad hoc, il lifting, il godimento del tempo libero, eccetera). E siccome siamo un Paese vecchio – pare il secondo più vecchio dopo il Giappone – la questione è seria. Come stiamo invecchiando?
Il tragico fatto di Cremona non può facilmente essere rubricato nella categoria del raptus. È facile immaginare – senza ergersi a giudici dell’intimità altrui – quanta amarezza deve essersi accumulata in quei due vecchi, quanta solitudine rabbiosa si portavano dentro, quanta insoddisfazione impotente nutrivano perché la discussione su un parcheggio conducesse a oltrepassare la soglia della morte. Lo scoppio violento di questa miscela non è improvviso e casuale; è che per lunghi anni niente è stato capace di ostacolare il germinare del seme cattivo. Si invecchia – in bene e in male – ogni giorno.