Mariano Rajoy ha scelto il silenzio finché non si sarà concluso il lungo passaggio di consegne. Ma nelle due uniche occasioni in cui il leader del Partito popolare ha parlato, ha ripetuto una frase chiave: “La crisi che il nostro Paese sta passando è troppo seria per sperare che un Governo la possa risolvere. Farlo, è compito di un’intera nazione”. Non è niente male il riferimento al protagonismo delle persone, il cui nome tecnico è sussidiarietà. Una parola che in Spagna non si sa nemmeno sillabare.
Sia la destra che la sinistra hanno promosso uno statalismo ossessivo nella cultura pubblica spagnola. La sinistra, sebbene abbia abbandonato la “religione” marxista, ha continuato a sostenere che lo Stato è l’unico soggetto in grado di sostenere il sistema di welfare. La destra, da quando Antonio Cánovas (Presidente del consiglio alla fine del XIX secolo e leader del Partito conservatore, ndr) ha cominciato a costruire un’amministrazione moderna e solida alla fine dell’Ottocento, ha spesso pensato che la sua unica missione fosse quella di continuare questo lavoro e lasciare il resto al mercato.
Potrebbe essere arrivato il momento di una svolta. Rajoy ha detto che servono tutte le energie sociali. Come appello ha un suo valore, ma se la sua chiamata non diventa un criterio per ripensare i servizi pubblici sarà poco efficace. La Spagna si trova in una situazione come quella del ’96 (quando il Popolare José María Aznar vinse le elezioni contro il Socialista Felipe González, ndr), ma più pressante.
In questi giorni l’euro verrà “rifondato” intorno a un nuovo “nocciolo” di stati. È importante essere in questo gruppo. Ma questo non sarà possibile senza una drastica riduzione del deficit pubblico. Il pericolo è il deficit non il debito. I conti si sono mantenuti in equilibrio fino a qualche anno fa perché la bolla immobiliare ha generato entrate che non ci saranno più e l’illusione che il welfare fosse sostenibile. Le competenze sul welfare sono, in gran parte, nelle mani delle Comunità autonome. Sono i loro squilibri di bilancio a impedire la riduzione del deficit al 6% del Pil come richiesto da Bruxelles. Sarà molto difficile raggiungere il 4,4% fissato per il 2011.
In questo contesto, ciò che accade in Castiglia-La Mancia è molto significativo. È la Comunità autonoma con più deficit, ma da quando il Partito popolare ne ha preso il governo quest’anno sono stati approvati due tagli: uno da oltre 1,8 miliardi di euro e l’altro da 350 milioni. La Presidente, María Dolores Cospedal, ha annunciato venerdì scorso che la situazione dei tre ospedali è talmente insostenibile che cederà la loro gestione ai privati. La necessità obbliga a ripensare ciò che si intende con “pubblico”. Si apre timidamente, ma si apre, il dibattito che finora era un tabù.
Qualche giorno fa, la Fondazione Impresa e Società, realtà di servizi di consulenza legata al mondo socialdemocratico, che conta anche sull’apporto di analisti finanziari internazionali, ha pubblicato un paper provocatorio dal titolo piuttosto lungo: “Documento di riflessioni e proposte da discutere in vista delle prossime riforme strutturali”. Sono state raccolte alcune idee che già sono nella mente di molti. Un esempio: gli autori chiedono che si chiarisca quali servizi pubblici sono essenziali e quali no. I primi potrebbero essere “responsabilità della Pubblica amministrazione, in collaborazione con l’iniziativa privata e sociale”. I secondi si potrebbero “trasferire al settore privato, senza intaccare gli ‘organi vitali’ del welfare e della coesione”. Questo è quello che chiamano la co-produzione di servizi.
Ma le nuove formule si stanno cominciando a fare strada quando nella società civile spagnola, nel cosiddetto Terzo settore non profit, cresce il timore che la crisi metta fine ai sussidi che lo mantengono a galla. Gran parte delle organizzazioni di cooperazione internazionale, fondazioni e associazione di azione sociale, così come altri coinvolti nei diversi settori, sanno che i fondi pubblici ricevuti andranno a diminuire. È un altro dei punti deboli che devono essere risolti se si vuole far avanzare la sussidiarietà. L’iniziativa sociale ha generato, in molti casi, organizzazioni molto deboli che dipendono troppo dalle sovvenzioni. La soluzione passa dal trasformare la cultura delle sovvenzioni nella cultura degli sgravi, attraverso la sussidiarietà fiscale.
Tutto cambierebbe se lo Stato concedesse sgravi ai cittadini che sostengono organizzazioni che sono già accreditate (o che stanno per diventarlo) nella fornitura di servizi pubblici. In tal modo, la necessaria riconversione del settore non profit avverrebbe realmente dal basso, non sarebbe determinata da criteri politici e il cittadino potrebbe scegliere da chi farsi servire. I tempi per la sussidiarietà sono maturi in Spagna.