Czeslaw Milosz, premio Nobel per la letteratura nel 1980, ha scritto: «Si è riusciti a far capire all’uomo che se vive è solo per grazia dei potenti. Pensi dunque a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle. Chi ama la res publica avrà la mano mozzata». Ho sempre pensato che questi versi folgoranti riguardassero sostanzialmente il totalitarismo del blocco sovietico, contro il quale si è levata limpida la voce del poeta polacco-lituano. Ma mi sono tornati in mente in questi giorni, mentre tentavo di dar ragione di un indistinto malessere alla quotidiana lettura dei giornali. Più che da qualche notizia particolare, che pure ne darebbe motivo, il malessere mi viene suscitato da un certo tono generale che si sta imponendo quando si parla di crisi e argomenti connessi. Da un lato c’è l’insopportabile saccenteria di quelli che dicono di essere gli unici ad aver capito le vere cause della crisi, che ti spiegano la ricetta giusta conosciuta solo da loro, che accusano tutti coloro che hanno fatto qualcosa di averla fatta male. Così ti inondano di elaborati e criptici editoriali o di intere paginate con dati e tabelle costruiti su pure illazioni o su sentito dire. Il risultato è che anche il lettore più paziente ed interessato ne esce sfiancato e finisce per decidere di non leggere più niente. Risultato raggiunto: pensiamo a bere il caffè e a dar la caccia alle farfalle, che a programmare il nostro futuro ci pensano lorsignori. D’altra parte ci sono gli accusatori di mestiere, quelli che fanno della ricerca e dell’esposizione del marcio la loro mission (in inglese, per carità; è molto più trendy). Sono i professionisti delle mani pulite, per i quali nessun interesse è legittimo, ogni aggregazione è una lobby, ogni iniziativa dal basso una sospetta ingerenza. Hanno una inesauribile sete di vendetta nei confronti della casta, ma non riescono in nessun modo a nascondere di costituirne una altrettanto pericolosa.
Vorrebbero far pulizia di ogni malefatta, ma non riescono a tacere il radicale disprezzo per tutto quello che è stato costruito – imperfetto come ogni costruzione umana – senza chiedere il permesso a loro e ottenere da loro il bollino di qualità. Così, ad esempio, lo stesso giornale che fino a ieri osannava il grande ospedale polo di eccellenza internazionale, ne fa oggi la cloaca di tutte le nefandezze. Anche qui, risultato raggiunto: chi fa qualcosa per un impeto costruttivo non vidimato dai tetri custodi della moralità pubblica ha la mano mozzata.
Poi ci sono gli incontentabili relativisti che a tutti i costi devono sbugiardare ogni certezza spacciandola per radice di violenza, poi quelli che vedono gretto populismo in ogni manifestazione comunitaria, poi quelli per cui l’importante è non disturbare il manovratore e quelli per cui l’unica soluzione è farlo fuori, il manovratore, presunto o reale che sia. Poi quelli che… Ma basta. Spero di essere riuscito a dar conto del malessere di cui parlavo all’inizio. Per fortuna, poi si alza la testa dal giornale e si comincia o riprende a lavorare, come ogni giorno. E allora ci si guarda intorno e si vede un sacco di gente che «ama la res pubblica», fa il proprio dovere, ti aiuta se hai bisogno, ti chiede come va, si rimbocca le maniche e fa i conti coi sacrifici che l’aspettano, si interessa veramente del pezzetto di cosa pubblica con cui ha a che fare. Difficilmente questa gente scriverà sui giornali o ne verrà citata. Ma è dalle loro mani, che non hanno nessuna intenzione di farsi mozzare, viene la riscossa da ogni crisi.