Salutiamo in queste ore un 2011 pesante, un anno che difficilmente dimenticheremo per i cambiamenti avvenuti e per l’inevitabile ricaduta sulle nostre vite. Ma se c’è un tratto che fra gli altri lo distingue in modo chiaro, fino ad esserne simbolo, è la caccia al nemico. Due fatti, uno avvenuto a Torino, l’altro a Firenze, ci hanno bruscamente fatto fare i conti con un clima sociale avvelenato. Nel capoluogo piemontese è stato messo a ferro e fuoco un campo nomadi irregolare come ritorsione di uno stupro che si era inventato una ragazza. In quello toscano una specie di Breivik italiano, gonfio di letture male interpretate della destra esoterica, ha ucciso due commercianti ambulanti di colore, senegalesi, e poi si è tolto la vita. 

Casi estremi, fatti terribili, che ci riportano però alla pesantezza del clima sociale e anche culturale in cui respiriamo. A Torino e a Firenze si è dato libero sfogo alla pulsione più animale: quella della caccia al nemico. Di fronte alla paura, alla crisi, alla difficoltà, è facile lasciarsi andare alla tentazione di cercare un capro espiatorio, di proiettare su un altro tutta la rabbia, l’indignazione, la violenza subite. E’ purtroppo sempre successo nella storia e la cosa dovrebbe allarmare tutti i cittadini, comunque la pensino. Perché non ci sono solo le basse reazioni razziste, di Torino, di Firenze o di quegli imbecilli del sito italiano affiliato al Ku Klux Klan che vorrebbero anche la morte del ”ciellino”… 

Ci sono modi più culturalmente evoluti di cercare un capro espiatorio, un nemico a cui far “pagare” la crisi. Paradossalmente la circostanza è divenuta più evidente, con la caduta politica del Governo Berlusconi. Senza il grande Nemico di Arcore, ad esempio, un pezzo dell’intellighentsia di sinistra ha messo nel mirino la Chiesa cattolica, propalando la menzogna che la Chiesa non paga l’Ici. Ma in certo senso anche la (spesso doverosa) polemica sulla casta dei politici sconfina pericolosamente in una sorta di generalizzazione, un cappio pubblico contro il colpevole, che l’opinione pubblica scova e processa.

Il filosofo comunista Zizek ha detto recentemente in un’intervista al settimanale Vita che non gli piace il termine “indignados” per i giovani che protestano contro banche e finanza. L’indignazione, ha spiegato lucidamente, tende a favorire pulsioni di destra, oggettivamente fasciste e naziste. Secondo me, ha perfettamente ragione. Tanta indignazione, tanta rabbia, tanto risentimento sollevato nel popolo anche dai miei colleghi dei mass media negli ultimi mesi rischiano di sfociare in un irrazionale linciaggio collettivo.

Quasi mai (anche nella storia) le vittime del linciaggio si sono rivelate essere i veri colpevoli, ma semplicemente l’oggetto di un “dagli all’untore” esploso nella folla. 

Allora l’augurio per il 2012 è che questo Paese esca da questo clima avvelenato, la smetta di cercare un capro espiatorio e recuperi un senso di responsabilità. Il primo nemico sono la nostra paura, la nostra rabbia, la nostra indignazione se non sono portate dentro la razionalità di un percorso e in vista della costruzione di qualcosa di nuovo. Che deve accadere.