La politica coi piedi per terra

Le parole di Bagnasco sul momento delicato che il nostro paese sta vivendo sono passate troppo in fretta in secondo piano

Quando, un paio di settimane fa, il cardinale Angelo Bagnasco lesse la parte della prolusione al Consiglio Permanente della Cei dedicata all’infernale momento politico-giudiziario del nostro Paese, fu tutto un approvare e un aderire.

Parole giuste, parole illuminanti, chiedono approfondimento e riflessione, impongono un ripensamento, sospingono a un cambiamento, è ora di mutare non solo i toni, ma anche la sostanza… Fu questo il tenore unanime dei commenti, l’uno o l’altro arricchiti degli ormai immancabili concetti di bene comune, responsabilità civile, sfida morale, guai alle strumentalizzazioni, una autorità morale che parla alla coscienza di tutti e così via.

Quel paragrafo di 35 nitide e profonde righe sembrava destinato, nelle prime reazioni, a costituire la base di una riscossa, di un rilancio. Ma poche ore dopo, il prezioso palinsesto di una Italia desiderosa di qualcosa d’altro veniva già cancellato e riscritto. Incombevano i talk show, le dichiarazioni di agenzia, le prime pagine dei giornali.

I media hanno fame di titoli e vince chi la spara più grossa. E così, quell’altro e alto punto di vista, quel giudizio foriero di un essere diversi qui e ora, veniva presto ricacciato nel limbo dei principi morali, nel ghetto degli ideali che sarebbe-bello-poterli-realizzare-ma-la-realtà-è-un’altra-cosa.

Non è colpa della stampa, sia ben chiaro. La stampa fa parte del “sistema” (parola sessantottina quant’altre mai) e il sistema è fatto così: il cielo (delle verità, della coscienza, del cuore umano) non c’entra con la terra (delle decisioni pratiche, del potere, del governo). Oppure anche: il cielo non basta, non è sufficiente, non è completo; e poiché occorre “stare coi piedi per terra” la congiunzione tra i due mondi si dissolve e si dilegua.

Non era così che veniva liquidato Giovanni Paolo II quando implorava il mondo di fermarsi davanti alla guerra irachena? Dicevano: “Il Papa è una altissima autorità morale e non può che dire così” e al di sotto di quell’esibito rispetto in verità pensavano: “I criteri che lui propone per affrontare Saddam Hussein non hanno valenza terrena”.

 

Un caso in cui l’ipocrisia (che c’era) si accoppiava alla sincerità più assoluta. Ma il sistema, che non è una società segreta di mascalzoni ma un prodotto, una creazione di noi uomini e per questo occorre tanta educazione, è sempre all’opera per inculcarci la sua filosofia della separazione. Ci sono mille esempi di questo, basta dare un’occhiata ai giornali. 

 

Allo stesso modo è stato “dissolto” il giudizio del presidente della Cei. Per fare giustizia, per fare la politica “questo atteggiamento interiore che permetterà di avere quello scatto di coscienza e di responsabilità necessario per camminare e costruire insieme” (parole del cardinale) non è concretamente utilizzabile: alla giustizia come alla giustizia, alla politica come alla politica, à la guerre comme à la guerre, pensano i “realisti”.

 

Atteggiamento interiore? Cuore? Desiderio? Cose buone per l’aldilà, per la vita dopo la morte; si sa bene che nell’aldiquà non possono funzionare. Troncare, sopire, ridurre, separare, cancellare: ecco le cinque azioni, spesso compiute in perfetta buona fede, che garantiscono la rassicurante incomunicabilità tra cielo e terra. Ma che facciamo con quel piccolo particolare che è la vita (la giustizia, la politica, la realtà) prima della morte?

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