La grande ribellione araba ha rimesso in moto l’onda verde iraniana. Non se ne avevano quasi notizie da molto tempo, ma la certezza era che l’energia del desiderio di una libertà pubblica piena e matura, anche se rischiosa, non era stata prosciugata dalla repressione dei pasdaran.
Uno dei modi con cui gli oppositori degli ayatollah hanno voluto dimostrare l’attaccamento a quel desiderio era l’appuntamento al tramonto sui tetti di Tehran: alla stessa ora di ogni giorno, favoriti dal buio incipiente per non essere identificati, tutti a gridare l’inoppugnabile verità dell’Islam: “Allah è grande!”. Puoi essere messo in galera per aver glorificato Allah? Ecco allora il senso della “trovata”: proclamare la stessa apparente verità del potere, onde non esporsi, ma comunicando un significato del tutto opposto. La stessa parola è chiamata a esprimere concezioni totalmente differenti.
Il saggio cardinale, esperto di cose islamiche, dice che l’Iran è molto diverso dal resto del mondo musulmano e incomparabilmente superiore a quello arabo. Cultura di base, livelli di istruzione, struttura del pensiero, dinamiche personali e sociali. Lui si diletta nella conversazione con i dotti chierici khomeinisti, si sente provocato ad approfondire e a incrociare le ragioni della ragione, non appena quelle della fede; mentre quando incontra i sapienti egiziani dell’università Al Azhar, che dovrebbe coagulare il massimo del sapere islamico, resta deluso per l’esilità culturale del loro argomentare.
È un modo raffinato di considerare la grande e profonda frattura che attraversa il continente musulmano: nelle situazioni più pacifiche sciiti e sunniti si tollerano a malapena, e quasi ovunque si combattono. In Iraq, ad esempio, il conflitto è aperto, nel Libano ogni giorno è buono per riaprirlo. Nei mesi scorsi ci sono state violenze persino in Bahrein e Kuwait e tensioni in Arabia Saudita.
Politicamente gli sciiti sono considerati “agenti” di Tehran ed è Tehran che fa paura all’Occidente quanto all’Oriente. Il regime degli ayatollah inaugurato nel 1979 con il trionfale ritorno di Ruollah Khomeini dall’esilio di Parigi (anche in certi ambienti cristiani si apprezzava questo “ritorno del sacro” e della Tradizione contro laicismi e modernismi) è sempre stato ultimamente inafferrabile e impenetrabile. Attorno a quegli uomini vestiti di nero si percepisce un alone di mistero, rigore, crudeltà, dottrina. Fanatismo, forse, ma custodito dalla teologia e dal sapere, dalla poesia e dalla mistica.
Però anche questo universo, più chiuso e pietrificato di quello delle gerontocrazie arabe e delle monarchie sunnite, da qualche tempo trema. Non riesce più a tenere congelata la vitalità colta e sognante delle giovani generazioni, cui non basta la libertà virtuale del web o del satellite. L’onda verde è ripartita grazie all’imprevisto esempio delle società arabe a stragrande maggioranza sunnita, dove le rivolte non hanno avuto alcun marchio religioso, e anzi hanno visto cristiani e musulmani in piazza indifferenti alle prudenze delle rispettive autorità religiose.
E ciò fa capire che l’intero Islam potrebbe entrare in una nuova fase storica, dove il fondamentalismo dovrà confrontarsi con qualcosa che ancora non conosciamo. Allah è grande per tutti, ma cosa significa?