Per un po’ di tempo, al primo posto nelle discussioni tra politici, osservatori e media della scorsa settimana non vi sono stati l’Egitto, la crisi economica o la disoccupazione (anche questi temi sono stati ovviamente discussi): l’argomento principe è stato Ronald Reagan. 

Come ha scritto Edmund Morris su The New York Times di domenica scorsa, “Ritorna l’olandese”. Quando Reagan nacque nel 1911, suo padre, Jack Reagan, nel vedere il neonato scoppiò a ridere, dicendo che sembrava “un piccolo olandese grasso.” Da allora, “l’olandese” è stato il suo soprannome.

Improvvisamente, in questo centenario dalla sua nascita, Reagan è apparso dappertutto. Una delle ragioni dell’intensità del dibattito è stata la scoperta che il presidente Barack Obama, malgrado le differenze radicali tra le loro ideologie politiche, conservatrice verso progressista, è un ammiratore di Reagan.

Qual è la ragione dell’interesse di Obama in Reagan? Si tratta di tattica politica indipendente dai contenuti? Obama sta cercando di imparare come abbia potuto Reagan cambiare l’atteggiamento di così tanti americani da trasformare il profilo politico del Paese, instaurando “un’epoca conservatrice” che dimostra tuttora forza nel contrastare “l’epoca progressista” cui Obama ancora spera di dare inizio?

Ora tutti cercano di scoprire il “segreto di Ronald Reagan”. Suo figlio Ron, anticipando (e credo condividendo) questo interesse, ha appena pubblicato un libro intitolato Mio padre ai 100, dopo aver rifiutato per sette anni di trarre vantaggio dalla sua vicinanza con il padre (Io stesso sto leggendo il libro e l’ho trovato finora interessante e stimolante).

Visto che così tanti hanno raccontato la storia dei loro rapporti con Reagan, vorrei anch’io dire qualcosa sul mio unico incontro con lui, che potrebbe obiettivamente aiutare Obama a capire il suo “segreto”.

Incontrai il presidente Reagan nel 1987. A quel tempo vivevo a Boston, cercando di fondarvi un centro per lo studio di fede e cultura, ma la mia casa era ancora Washington, dove avevo vissuto per più di trent’anni. Fui divertito da questo invito a partecipare a una riunione con il presidente nella Stanza Ovale alla Casa Bianca, pensando che avevo dovuto lasciare Washington per poter avere questa opportunità (alla fine della riunione, Reagan mi suggerì di restare qualche giorno in più per visitare Washington e, quando gli dissi che avevo iniziato a viverci quando lui ancora girava film a Hollywood, mi disse di restare per fargli vedere la città! Scherzando, gli risposi che dovevo tornare a Boston per un’importante riunione e, mentre lui rideva, ci salutammo).

 

La riunione nella Stanza Ovale aveva per oggetto i violenti conflitti in atto in Nicaragua e ne El Salvador, dove sembrava che la Chiesa fosse più favorevole alla causa dei ribelli che alla politica anticomunista degli Stati Uniti. L’Arcivescovo allora a capo della Conferenza Episcopale della America Latina era venuto per spiegare a Reagan le preoccupazioni della Chiesa cattolica nella regione e a me era stato chiesto di fare da suo interprete. Anche Reagan aveva il suo interprete, ma appena prima dell’inizio dell’incontro, il presidente mi chiese di tradurre anche per lui, così mi sedetti tra Reagan e l’Arcivescovo.

 

Non c’è bisogno di dire che è stata un’esperienza affascinante. Seduti attorno vi erano il vicepresidente Bush e appartenenti allo staff del presidente, che gli avevano fornito tutte le indicazioni su cosa chiedere e dire all’Arcivescovo circa le preoccupazioni dell’Amministrazione. Era stato preparato tutto molto accuratamente e, credo, tutto andò come programmato.

 

Durante l’incontro, continuai a osservare attentamente Reagan e dal modo in cui guardava e ascoltava, mi sembrò che vi fosse qualcosa che proveniva dal suo intimo. Per così dire, qualcosa al di là degli argomenti oggetto delle domande e risposte preparate. Di che si trattava?

Da quell’incontro, ogni volta che l’ho rivisto in tv ho ripensato a questo. Rimasi sorpreso dalle pubbliche dimostrazioni di affetto quando morì nel 2004. Qual’era il segreto di Ronald Wilson Reagan, dell’uomo, della persona, del non attore? L’attuale interesse di Obama per lui mi ha aiutato a capire un po’ meglio la mia esperienza nella Stanza Ovale. Obama è un politico e le tattiche politiche sono certamente parte del suo interesse per Reagan. Ma c’è anche qualcosa d’altro.

 

Credo che Obama cerchi di essere soddisfatto dalla sua ricerca di un “terreno comune” nel conflitto tra ideologie, ma che il suo cuore quanto meno sospetti che un simile terreno comune richiede una riduzione dei desideri cui il cuore tenta di resistere.

 

Credo che in Reagan intraveda un uomo che non ha accettato questa riduzione, ed è questa l’attrattiva che io sentii in Reagan durante il nostro incontro. Era un uomo che credeva nella Verità e non era preparato a sacrificare questa convinzione in favore di vittorie ideologiche. Questa convinzione gli ha aperto il cuore a una visione più ampia della realtà e a un senso più profondo della possibilità di cambiare le cose senza rinunciare alla serenità che viene dal sapere che la Verità esiste.

 

Reagan ora ha incontrato quell’Uno che è la Verità. Prego che Obama scopra che Questi è quell’Uno di cui ha parlato così eloquentemente la settimana scorsa al National Prayer Breakfast: quell’Uno che ha chiamato pubblicamente il suo Salvatore.