L’indignazione non è l’undicesimo comandamento. Così mons. Negri, vescovo di san Marino e Montefeltro al Tg1 delle 20 di venerdì scorso. Indignarsi serve solo a guadagnare una piazza fisica o mediatica, a occupare uno spazio, a ribadire un antagonismo da contrapposizione: poi, ma anche durante, tutto resta come prima.
Maestri nell’elevarsi a baluardi contro l’inevitabile declino morale, incapaci di costruire e testimoniare una sia pur piccola alternativa. È bene prendere coscienza che nella generazione degli attuali cinquanta-sessantenni ce ne sono veramente troppi che, in un ipotetico esame di coscienza, dovranno riconoscere di avere passato l’intera vita a combattere le idee di qualcuno al potere: prima il bigottismo, o almeno ritenuto tale, di tanta Democrazia Cristiana, oggi il bunga bunga di certa Forza Italia.
Né boyscout, né yuppie. Piccolo esempio, ma per me molto significativo, una recente presa di posizione di Paolo Villaggio in cui, dopo averne sbeffeggiato per anni la presenza, lamentava la scarsa incidenza culturale nel Paese della Chiesa Cattolica, vista la difficoltà degli italiani ad accettare i problemi legati all’immigrazione.
Così, in un colpo solo si misconoscono le mille iniziative di accoglienza che il mondo cattolico ha realizzato, gli si accollano le grettezze di chi resiste a questo esodo epocale e che in molti casi non si è perso uno spettacolo del comico genovese e si nascondono le responsabilità di chi in nome di un teorico terzomondismo non si presta ad affrontare con concretezza e un minimo di razionalità il problema aprendo le porte, questi sì, alla reazione motivata del popolo. Ma tant’è.
Di indignati se ne sono visti molti in quest’ultimo periodo. Da Adriano Prosperi, ospite de L’Infedele di Gad Lerner, a Roberto Vecchioni, fresco vincitore di Sanremo, che dichiara di “parlare alla parte sana e perbene del Paese”. In particolare, per quest’ultimo è partita la caccia a identificare i suoi “bastardo al sole” e “vigliacco che nasconde il cuore”. Per evitarci troppe fatiche, lui stesso ci fornisce una traccia, almeno per il secondo: Giuliano Ferrara ci si avvicina molto. Non lui, Roberto Vecchioni, che a quasi settant’anni torna dopo una più che trentennale assenza là dove solo da perfetto sconosciuto aveva accettato di andare.
Ma la novità sembra essere un’altra: a ogni apparizione di indignati è facilmente rintracciabile una presenza alternativa. Così Vittorio Messori che a L’Infedele ricorda, citando un principe della Chiesa, che chi detesta i vizi detesta l’uomo e così Van de Sfroos con la sua simpatica e orecchiabile trasposizione lacustre delle epopee salgariane. Che Yanez sia con noi. Ora e sempre.