Si è parlato molto negli ultimi giorni di una sorta di piano Marshall per i paesi del Mediterraneo. Una proposta affascinante, che va però contestualizzata. Quando gli Stati Uniti ci hanno concesso i finanziamenti di quel piano ci hanno imposto precise condizioni: ossia cacciare i comunisti dalle coalizioni di Governo dell’Europa occidentale.
Noi quali condizioni intendiamo porre ai paesi del Mediterraneo oggi? Vogliamo limitarci a veder sostituiti i dittatori con altri dittatori o, invece, far crescere in questi paesi istituzioni democratiche forti con un solido legame con una forte società civile?
Gli sconvolgimenti in atto portano la speranza di una vita migliore per le popolazioni della regione e per i valori universali di cui l’Europa si fa portatrice. Ma il raggiungimento di una piena democrazia non è mai un passaggio semplice. Ci sono innumerevoli rischi associati a queste transizioni. Gli scontri che stanno insanguinando l’Egitto e che hanno causato la morte di numerosi cristiani sono un segnale preoccupante, ma tutt’altro che inaspettato.
Gli eventi in Libia e in altri paesi della regione evidenziano l’urgente necessità di sviluppare politiche e strumenti più ambiziosi ed efficaci per incoraggiare e sostenere le riforme politiche, economiche e sociali nei paesi del vicinato meridionale dell’Ue. La revisione strategica in corso della politica europea di vicinato deve riflettere gli attuali sviluppi nella regione e trovare nuovi e migliori metodi per soddisfare le esigenze e le aspirazioni delle popolazioni.
Durante la riunione di oggi del Consiglio europeo, insieme con il pacchetto di proposte dell’Alto rappresentante per la politica estera, sarà discusso nel dettaglio il contenuto della Comunicazione che lo scorso 8 marzo la Commissione europea ha inviato al Parlamento europeo e al Consiglio, che rappresenta il progetto di medio periodo per l’Unione europea per l’area euro mediterranea. La comunicazione è intitolata “Una partnership per la democrazia e prosperità condivisa con il sud del Mediterraneo”.
Adattare il nostro approccio alle esigenze di ogni singolo Paese, supportare la costruzione di istituzioni democratiche, contrastare le sfide della mobilità, promuovere uno sviluppo economico inclusivo, assicurare il massimo impatto possibile al commercio e agli investimenti, rafforzare la cooperazione settoriale. Il futuro dei paesi che si preparano a una transizione verso la democrazia passa attraverso la condivisione di questi obiettivi.
L’impegno per la democrazia, i diritti umani, la giustizia sociale, il buon governo e il ruolo della legge devono essere condivisi, ma con un approccio differenziato. Nonostante alcune similitudini, nessun Paese nella regione è uguale a un altro, occorre quindi reagire alle specificità di ognuno di essi.
Un nuovo inizio è possibile, ma soltanto riconoscendo i fallimenti del passato. Parlo, per esempio, del processo di Barcellona e dell’Unione per il Mediterraneo. Dobbiamo in sostanza far capire a tutti i Paesi europei che il nostro futuro è sulle sponde del Mediterraneo. Parlarne adesso dà maggiore credibilità a una presa di coscienza da parte dell’Europa di quanto sia decisivo per il proprio futuro il destino di questi paesi.
L’Italia ha un ruolo chiave perchè può fare da battistrada a un’operazione analoga a quella fatta dalla Germania con i Paesi dell’est dell’Europa nel momento dell’implosione del sistema comunista.