Il problema è che non si sa quel che realmente accade in Libia, né come definirlo. Rivolta? Rivoluzione? Guerra civile? I media arabi parlano di “eventi”, suggerendo appunto l’idea di qualcosa in atto, che però non si capisce.
In Tunisia si è vista all’opera una società piuttosto istruita, determinata e sostanzialmente pacifica, capace di saltare le mediazioni e spazzare via governo e partito-Stato; in Egitto è stato decisivo il quadro di “forza tranquilla” assicurato dall’esercito; nel resto del Maghreb si è al livello di schermaglie; nel Bahrein si registra una nuova e più dura fase dello storico e diffuso conflitto tra sciiti e sunniti. Ma in Libia?
Non è chiaro nemmeno dalle parole del colonnello Gheddafi nell’intervista-scoop di Fausto Biloslavo su Il Giornale. Prima dice che è tutta colpa di Al Qaeda, dopo punta il dito sull’Occidente e, infine, si dichiara pronto ad allearsi con Al Qaeda, cioè con chi lo minaccia, e dichiarare la guerra santa. L’enigma è veramente arduo, e lo è per tutti.
All’inizio sembrava una storia come le altre: piazze di rivoltosi piene, dirigenti del regime e ambasciatori dimissionari a catena, la famiglia in procinto di fuggire, il colonnello chiuso e solitario come fosse un Ben Ali o un Mubarak. Abbiamo imparato a familiarizzare con Cirenaica e Tripolitania, roba da geografia coloniale, siamo stati trascinati dalle tv satellitari Al Jazeera e Al Arabiya a credere alle immagini di fosse scavate sulle spiagge (poi si è scoperto che era un “normale” cimitero) e ai numeri di migliaia di vittime causate da bombardamenti a tappeto.
Cose mai viste, mai verificate. E che però sono state prese per buone anche dalle cancellerie occidentali. Chi chiedeva di bombardare Gheddafi, chi di creare una no fly zone, chi un intervento umanitario, chi voleva mandare truppe americane a instaurare la democrazia (i nostalgici di Bush), chi ha dichiarato fuori gioco l’amico di solo qualche mese fa.
Da un estremo: Gheddafi accolto dovunque, i suoi soldi buoni per tutto; all’altro: un crudele sanguinario dittatore da bandire dal sistema solare. Si sa di diplomatici e spie che hanno insistentemente raccomandato la prudenza conoscendo bene la realtà un po’ brancaleonesca degli insorti, ma il motore possente dell’opinione mondiale si è messo in moto e non c’è stato nulla da fare.
Nessun accordo sui mezzi, ma tutti d’accordo sul fine: via Gheddafi. E ora? In termini militari gli “eventi” paiono prossimi alla fine e se il colonnello, sia pur logorato, superasse l’ennesima prova come si farà con quell’uomo ancora in sella sulle sue risorse naturali e su quelle umane (forse due milioni di africani subsahariani in letargo tra le sabbie libiche)?
Bisognerà inginocchiarsi davanti alla sua tenda e sperare di rabbonirlo con le promesse più colossali? Più di quelle già fatte? Chi e come tratterà con lui e suoi figli, saliti alla ribalta delle stesse televisioni e per nulla disposti a mollare il malloppo che ha preso le strade della Svizzera, del Golfo, delle società fantasma (in questo sì i dittatori sono tutti uguali)?
L’imprevisto ha giocato un brutto scherzo e ora si può scommettere che l’enigma della non-rivoluzione libica sarà la Cina a scioglierlo.