L’egotismo è un male straordinario. Sottile come la depressione. Insidioso come una nebbia. Saviano ormai me ne pare afflitto irrimediabilmente. Nell’articolo su Repubblica racconta quasi lacrimando del suo enorme successo televisivo, come di una epopea di eroe timido e solitario. Un programma “fazioso” di nome e di fatto, supportato dalla gran cassa della maggior parte dei media, collocato nell’ora di massima audience televisiva sotto la patetica veglia censoria della rai azienda pubblica di stato: non mi paiono ingredienti per un successo inaspettato ed eroico.
Diciamo più semplicemente che si è aggiunto anche lui alla prospera aziendina di anchorman pagati con le nostre tasse liberi di dire quello che vogliono facendo la figura dei martiri. Ma non è questo il punto. Questo ormai è lampante. Il peggior sintomo di egotismo è nella lista che propone come le 10 cose per cui vale la pena vivere. Una cosa tra il serio e il faceto, ma appunto da come è serio e faceto un uomo che si rivolge a milioni di lettori si capisce il livello di egotismo raggiunto. E l’egotismo, sia detto chiaro, non è un problema di Saviano. Ma della intera nostra cultura e società, nei suoi schieramenti di potere spesso opposti ma tremendamente simili. E’ il male che insidia tutti noi, con la penna in mano o senza.
E’ il male dell’uomo monade. In quell’elenco, sufficientemente trendy e moderatamente snob, non compare mai nessun altro (eccetto che un parente e una persona amata). Insomma, un elenco da uomo senza relazioni. O con relazioni minime. Certo a Saviano non mancano le pubbliche relazioni. Ma in questo elenco appare come uno a cui il mondo fa da fondale. Un elenco piccolo borghese, si sarebbe detto un tempo. Gli altri, magari quelli che stanno male, che hanno bisogno, non compaiono mai. Tra le dieci cose che per l’Eroe danno senso al vivere non ce n’è una che non sia a suo proprio uso e consumo. Nobili consolazioni, gesti di raffinatezza, mozzarelle e Raffaello, conforto nel successo.
Ma gli altri, i “prossimi” no, non ci sono. Forse dire che val la pena vivere per combattere la morte di migliaia di innocenti o la malattia di tanti, o la solitudine di quanti vivono il deserto “pressato nel treno della metropolitana” come dice Eliot potrebbe sembrare altisonante, retorico. Ma forse è più retorico, altisonante nel suo snobismo dire che tra i dieci motivi c’è la mozzarella di bufala. In realtà non ci sono dieci cose per cui vale la pena vivere. Ce ne sono miliardi. Vale la pena vivere per ognuno degli altri. Per lo spettacolo (anche drammatico) che è ognuno degli altri –per i tuoi figli o per lo sconosciuto incontrato.
Vale la pena vivere per sé e per tutti. Solo un uomo “monade” sceglie con presunta finezza dieci cose per cui vivere. Un uomo che cerca la vita non sceglie dieci motivi, ne incontra ogni giorno migliaia. Lo dice il Vangelo, ma i nuovi profeti non lo conoscono: per vivere occorre amare Dio e il prossimo come se stessi. Uno può decidere di avere come Dio la mozzarella o Bob Marley (o il proprio successo), ed è il perenne vizio dell’idolatria, ognuno si elegga il dio che vuole. Ma che scompaia il prossimo, che non ci sia ombra degli altri, questo mette una grande tristezza.
Non a caso, Saviano riconosce che, ispirandosi ad Allen, fare questo elenco è un antidoto per lui che “è il malato cronico” (di egotismo appunto) per sottrarsi a problemi inutili in cui è imprigionato. Ma i problemi inutili sono quelli che riguardano il senso del limite, del dolore, del vivere. Un modo per sottarsi ai problemi della vita. E tutto questo fa del gioco simpatico un gioco triste. Snob, televisivo appunto.