Cominciano a filtrare pubblicamente i primi risultati del Censimento 2010 negli Stati Uniti, dai quali risulta una crescita della popolazione ispanica che può rappresentare un fattore importante per il futuro del Paese. Secondo alcuni funzionari del Census Bureau, gli ispanici hanno raggiunto un nuovo culmine con più di 50 milioni, il 16,3% della nazione, confermandosi così ufficialmente come il secondo gruppo nel Paese. “Nell’insieme, si è visto che la popolazione della nostra nazione negli ultimi dieci anni è diventata più diversificata razzialmente ed etnicamente” ha detto Nicholas A. Jones, capo del dipartimento di statistiche razziali del Bureau.

Dal censimento del 2010 sono emersi parecchi trend, affermano Robert M. Groves, direttore del Census Bureau, e Marc J. Perry, capo del dipartimento sulla distribuzione della popolazione. Il Paese sta crescendo a un tasso inferiore e la crescita è concentrata nelle aree metropolitane, nell’Ovest e nel Sud. Le comunità che stanno crescendo più rapidamente sono sobborghi come Lincoln, fuori Sacramento in California. Secondo quanto affermato dai funzionari, città guida come Boston, Baltimora e Milwaukee non sono più tra le prime venti per popolazione, sostituite da nuove entrate come El Paso, in Texas, e Charlotte, nella Carolina del Nord.

Sempre secondo i funzionari, tuttavia, il trend più significativo sembra essere il nuovo calcolo di 50,5 milioni di latinos, che contribuiscono per più della metà alla crescita globale di 27,3 milioni di persone, che porta a 308,7 milioni la popolazione totale degli Stati Uniti. La popolazione ispanica è aumentata del 43% rispetto al 2000, distinguendosi decisamente dall’insieme di tutti gli altri gruppi etnici, il cui incremento è stato solo di circa il 5%. La popolazione totale si è accresciuta del 9,7%. I funzionari del Bureau, giovedì scorso, hanno rifiutato di fare dichiarazioni sul contributo dell’immigrazione illegale alla crescita degli ispanici e di altre minoranze, affermando che le cause della crescita sono ancora sotto studio.

“Queste sono domande veramente importanti” ha detto Roberto Ramirez, capo del dipartimento che studia gli aspetti etnici e di origine della popolazione: “Siamo effettivamente nel mezzo di un processo di ricerca su tutto ciò”. Secondo D’Vera Cohn, del Pew Research Center di Washington, il tasso di natalità, piuttosto che l’immigrazione, è il fattore primario della crescita dei latinos: gli ispanici rappresentano ora quasi un quarto della popolazione sotto i 18 anni. E aggiunge: “Gli ispanici sono una popolazione giovane e ci sono più donne in età fertile”.

Anche se l’immigrazione continua a dare un forte contributo alla crescita della popolazione ispanica, la recente recessione e i tassi elevati di disoccupazione potrebbero, dicono gli analisti, portare a una graduale riduzione delle richieste di residenza negli Stati Uniti da parte di stranieri. Ruben Navarrette, sul sito della Cnn, scrive che gli Stati Uniti stanno diventando un Paese ispanico, e che ciò sta succedendo molto più velocemente di quanto ci si potesse aspettare. Un’analisi del Pew Hispanic Center sui dati recentemente diffusi del censimento 2010 evidenzia che la popolazione ispanica degli Stati Uniti sta crescendo più rapidamente e con numeri maggiori di quanto avessero previsto i demografi. Nei 33 stati per i quali sono già stati pubblicati i dati, ci sono almeno 600mila ispanici più di quelli che ci si aspettava, e 28 sono gli stati in cui la presenza ispanica è maggiore di quanto previsto. Finora il calcolo porta a 38,7 milioni di ispanici, ma stanno arrivando i dati di altri 17 stati e si pensa che il numero finale possa essere oltre i 55 milioni, cioè il 17% della popolazione degli Usa.

Quali implicazioni porta con sé questo sviluppo? Per Navarrette, ciò che è davvero interessante è che questa “ispanizzazione” dell’America si nota maggiormente in stati solitamente non collegati alla presenza ispanica. Il vero punto, cioè, non è quanto accade in Texas, California, Florida o New York, che da molto tempo ospitano un numero ragguardevole di ispanici. È invece importante guardare a cosa succede in stati come l’Alabama, la Louisiana, il Kansas e il Maryland, dove il loro arrivo è relativamente recente, e a quali rapporti si istaureranno tra i nuovi arrivati e i residenti di lunga data. “Quanto prima, gli ispanici contribuiranno a determinare il mondo dei media, della politica, del commercio, della moda, della musica, dello spettacolo, dello sport e della scienza”, scrive ancora Navarrette.

Già oggi, sulle copertine delle riviste appaiono sempre più spesso modelle ispaniche e salsa è diventata più popolare di ketchup. Anche sulle strade delle zone rurali si vedono ormai manifesti in spagnolo e alcuni membri del Congresso si riuniscono settimanalmente per studiare lo spagnolo. Ci sono, peraltro, luoghi in cui ci si sforza di bloccare questi sviluppi combattendo decisamente l’immigrazione illegale o, addirittura, tentando di limitare anche quella legale. La maggior parte degli immigranti, sia legali che illegali, provengono dal Messico e dal resto dell’America Latina, ma in stati quali Arizona, Texas, Colorado e Nuovo Messico vi sono famiglie ispaniche che lì vivono da secoli.

Cosa significa tutto questo per la Chiesa cattolica, specialmente per la sua influenza sulla cultura americana del futuro? La tentazione è di essere negativo a tal proposito. Non vi è nessuna prova che gli ispanici che si dichiarano cattolici (ancora la grande maggioranza), integrati nella vita americana, diventino testimoni di come la fede cattolica impatta la cultura. Tuttavia, chi lo sa? Qualche indizio qui e là indica che le cose stanno cambiando e potrebbero condurre a un contributo significativo degli ispanici a una nuova evangelizzazione dell’America.