Di fronte al chiaro disaccordo, ai dispetti, ai distinguo, alle ingerenze territoriali ed ai sospetti di neocolonialismo che hanno contraddistinto la parte iniziale dell’intervento militare dell’occidente in Libia, siamo costretti a denunciare l’assenza, più pesante che mai, dell’Unione europea. Il Trattato di Lisbona approvato alla fine del 2009 ha permesso di edificare una struttura istituzionale che avrebbe dovuto darci la capacità di gestire qualunque tipo di crisi, finalmente in maniera coordinata. L’atteggiamento francese ha demolito in pochi giorni ogni illusione.
L’Unione europea è assente ingiustificata, sovrastata da interessi che troppo rapidamente hanno trascinato tutti nel pantano libico. Dopo un primo successo italiano, che ha chiesto ed ottenuto che la NATO prendesse il controllo delle operazioni, occorre accelerare i tempi per una soluzione politica della crisi. Auspicio condiviso ancora con forza dalla santa sede, che attraverso il cardinal Bagnasco ha fatto eco alle parole di Benedetto XVI durante l’angelus di domenica: ”a intervento ampiamente avviato, auspichiamo che si fermino le armi ”.
Durante il summit che si è svolto nei giorni scorsi a Londra al quale hanno partecipato tutti i principali attori della comunità internazionale, sono stati tutti concordi sul fatto che Gheddafi abbia le ore contate e quindi debba abbandonare al più presto il potere. L’esilio del colonnello è una delle opzioni, forse quella che comporterebbe le conseguenze meno traumatiche, almeno per quanto riguarda gli “effetti collaterali” dello scontro militare.
Gli enigmi sul futuro del paese resteranno tuttavia intatti: la transizione che deve condurre la Libia alla creazione di un governo legittimo, ma soprattutto credibile, che risponda alle aspettative di tutte quante le tribù presenti sul territorio è una montagna difficile da scalare. Gheddafi e la sua famiglia hanno occupato per quarantuno anni ogni brandello della vita istituzionale, sociale ed economica dell’ex colonia italiana.
L’assenza polemica da parte dell’Unione africana al vertice di Londra non è un segnale positivo. L’organismo sovranazionale africano può essere decisivo, ma deve essere legittimato da tutti in maniera convincente. Per garantire davvero che il dopo Gheddafi cambi in meglio le condizioni del popolo libico bisogna uscire da ogni ambiguità. L’Ue deve giocare questa partita. L’Unione europea intesa come “Stati uniti d’Europa” può avere la forza di far rientrare sul giusto binario quei governi che stanno guardando soltanto al proprio tornaconto economico.
Fino a quando gli interessi nazionali saranno non solo distanti tra i paesi membri, ma anche l’unico motore dell’agire politico, la possibilità che l’Unione Europa giochi il ruolo che le compete sul piano delle relazioni internazionali rimarrà, come sempre, nulla. L’atteggiamento del governo di Parigi rispetto alla crisi libica è un esempio illuminante del perché il progetto chiamato Europa unita debba prendere il sopravvento anche nelle relazioni internazionali. Solo l’Europa unita, come sessant’anni fa, può imporre la pace non come eccezione, ma come regola della storia.