Proponiamo il fondo di Giorgio Vittadini pubblicato oggi su Il Corriere della Sera a commento del Rapporto “Sussidiarietà e… istruzione e formazione professionale”, che verrà presentato oggi al Senato alla presenza del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi.

In Italia, circa il 30% degli iscritti alla prima supe­riore non riesce a finire gli studi, tra coloro che permangono nel sistema di istruzione i tassi di assenza scolastica sono in crescita costante, mentre il 29% circa delle persone tra i 15 e i 24 anni è disoccupata. Questo è il contesto in cui il nostro Rapporto “Sussidiarietà e… istruzione e formazione professionale” mette sotto i riflettori la percezione e le ricadute, anche lavorative, per i giovani formati dagli Istituti professionali di Stato (Ips) e dai Centri per la formazione professionale (Cfp), realtà educative del privato sociale.

Dall’indagine emerge come variabili ispirate al principio di sussidiarietà, quali un processo formativo centrato sulla persona e sulla sua accoglienza, il coinvolgimento personale del formatore, la valorizzazione dell’esperienza, l’attenzione alla dimensione della bellezza anche nella formazione, stage e attività integrative concepiti come funzionali al processo educativo e formativo, il particolare rilievo dato all’orientamento e alle relazioni con le famiglie e con il sistema imprenditoriale locale, siano gli elementi di successo delle esperienze formative oggetto di ricerca.

Benché un’impostazione sussidiaria non sia prerogativa dei Cfp, si riscontra un livello superiore di sussidiarietà di questi ultimi rispetto agli Ips. In sintesi, questi dati vanno a determinare un giudizio complessivo buono e ottimo del 74% dei qualificati dei Cfp sul corso di studio. Il dato per gli Ips è del 58%. In un panorama di generale disaffezione alla scuola non sono elementi da poco.

Il resto dell’indagine evidenzia luci e ombre. Ad esempio, per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, il 62% dei diplomati degli Ips trova lavoro entro 6 mesi, cosa che accade al 51% dei qualificati nei Cfp. Ma, mentre ai primi accedono soprattutto ragazzi che passano direttamente dalla terza media alla formazione professionale (81,2%), i Cfp raccolgono ben il 40% di persone già vittime di drop-out e comunque più disorientate e meno motivate allo studio. Ciò che appare evidente da questo Rapporto è la necessità di rimettere al centro della nostra cultura il valore della formazione professionale come strumento di pari dignità nell’educazione e nell’istruzione delle persone.

In generale, quindi, occorre investire molte più risorse e secondo metodi creativi e innovativi. In questo senso, interessante è il caso della Lombardia, dove gli esiti dei Cfp risultano superiori a quelli degli Ips, non solo per la qualità degli studi, ma anche per l’inserimento lavorativo degli alunni. Forse è il primo effetto della dote, strumento che sposta il contributo pubblico dalle scuole agli studenti e loro famiglie: un forte incentivo a una selezione degli enti qualitativamente migliori con ricadute su qualità di insegnamento e possibilità di occupazione che sarebbe bene non lasciar cadere, ma prendere nella dovuta considerazione.