Non è ben chiara la differenza tra “bombardamenti” e “lanci di razzi di precisione su obbiettivi militari”: forse ce la dovrebbero spiegare perché da ingenui noi pensavamo che quando si sganciano bombe sempre si prendesse la mira. Nelle recenti missioni militari internazionali poi si esclude sempre di colpire la popolazione civile, ma dire che gli aerei italiani lo faranno “con assoluta certezza” appare un nonsense.
Di fatto l’Italia alza il livello del suo impegno nell’adempimento internazionale degli obblighi della risoluzione dell’Onu “per proteggere la popolazione libica” ed “evitare un bagno di sangue” e si mette alla pari con gli altri Paesi che da cinque settimane sganciano bombe (di precisione e con il massimo impegno per evitare i famosi danni collaterali come l’uccisione di civili, ça va sans dire). Ma ancora fatica a dirlo, mentre dovrebbe farlo per motivi che sono talmente evidenti che elencarli risulterebbe umiliante.
La vicenda libica è stata un pasticcio fin dall’inizio: una pesante azione militare nella quale le ragioni esplicite sono apparse più deboli di quelle implicite; un atteggiamento riluttante e ondivago degli americani, solo negli ultimi giorni apparsi più decisi; una confusione di ruoli e di obbiettivi; il gioco ambiguissimo di tv satellitari arabe che per la prima volta hanno trascinato i media occidentali sul proprio terreno (c’è in proposito un interessante e profetico capitolo del recente libro del giornalista americano Neil MacFarquhar, L’ufficio stampa di Hezbollah ti augura buon compleanno). Il tutto mentre la verità dell’operazione si fa strada ogni giorno di più tra le omissioni e le allusioni: sotto l’ombrello della Nato Paesi occidentali intervengono nella guerra civile libica con lo scopo del cambio del regime.
È l’obiettivo minimo, perché forse per qualcuno la posta in gioco è addirittura l’eliminazione fisica di Gheddafi (come ha messo in evidenza Gian Micalessin sul Giornale: uccidere il colonnello non è più un tabù). Ora, comunque la si pensi su un dittatore da troppo tempo al potere (mai ho capito l’ascendente di Gheddafi sulla politica italiana di ogni colore) occorre però prendere coscienza del fatto che l’operazione Libia apre una strada nuova nelle responsabilità della comunità internazionale.
Nessuna altra missione degli ultimi trenta anni ha avuto caratteristiche simili: non la Forza Multinazionale spedita in Libano, non quelle nei Balcani, in Somalia, in Afghanistan. E tra un po’ si dovranno affrontare le conseguenze durevoli di quella che ci si ostina intitolare no fly zone sulla Libia (dopo sarà la volta di Assad in Siria?).
Intanto siamo alle prese con un pasticcio cui naturalmente l’Italia non ha potuto o saputo sottrarsi, nonostante i grandissimi e solidissimi legami con Gheddafi. E allora ecco prima l’irritazione contro gli anglofrancesi enfatizzata a dismisura dai giornali filogovernativi, la lite sul comando delle operazioni, gli aerei che puntano senza sparare, le basi concesse e poi ritirate e poi concesse, le innumerevoli attestazioni del tipo “non è una guerra” (che oggi ricompaiono sotto la forma “non è un bombardamento”), i ribelli che prima “non sappiamo chi sono” e poi diventano gli unici rappresentanti del popolo libico (grazie anche alla lobby di alcuni cattolici).
Ci dobbiamo bere di tutto e di più, come la Rai che ancora manda in onda Costanzo, mentre pochissimi hanno dato retta alla voce del vescovo di Tripoli, restata isolata come quella di Giovanni Paolo II ai tempi delle guerre irachene – e anche di questo bruciante isolamento dovremo ricordarci tra qualche anno. Ieri mentre i giornali del mattino annunciavano un vertice italo-francese “mai così teso”, le notizie e le dichiarazioni ufficiali del pomeriggio sottolineavano apprezzamenti reciproci, armonia di intenti, volontà unitarie. Persino la conquista francese di Parmalat sembra non dare più problemi e la questione dei poveri tunisini bloccati a Ventimiglia è declassata di valore. Oggi si bombarda insieme, anzi si lanciano razzi di precisione.