La beatificazione di Giovanni Paolo II – ampiamente favorita dal suo più stretto collaboratore, amico e successore Benedetto XVI – è la beatificazione di un grande uomo e di un grande cristiano, nella sintesi più mirabile di questi due fattori. Essere un grande uomo senza essere cristiano sarebbe una tensione inesaudita. Un cristianesimo senza umanità, infatti, è l’ideologia religiosa che più di una volta, nella storia della Chiesa, ha preteso di sostituirsi alla radicale semplicità e forza dell’esperienza della fede.
Giovanni Paolo è stato un grande uomo figlio di un grande popolo. La sua grandezza è stata la profondità con cui ha percepito la grande domanda di senso – di verità, di bellezza, di bene, di giustizia -, l’ansia del cuore umano di cui ha parlato per tutta la sua vita don Luigi Giussani. Wojtyla ha percepito queste grandi domande all’interno di una eccezionale tradizione di cultura e di civiltà come quella della Polonia cristiana, di cui è stato un figlio devoto e appassionato innanzitutto nell’arte, culmine originale di ogni forma di cultura e civiltà. Karol Wojtyla è stato poeta, artista e attore. Un fatto che non può essere separato dal suo diventare cristiano, sacerdote, vescovo e Papa, perché Giovanni Paolo II ha avuto sempre chiaro che solo nell’incontro con la presenza di Cristo morto e risorto e misteriosamente presente nella Sua Chiesa, l’umanità trova il suo compimento e la fede la sua concretezza storica ed esistenziale.
La sua vicenda di uomo e di cristiano ne fa il testimone inesausto dell’umanità che cerca Dio e di Dio che cerca e trova l’uomo, perché l’uomo possa diventare autenticamente se stesso. Perché è Cristo a rivelare tutta l’umanità sull’uomo: questa grande certezza il Papa ha declinato nei suoi 27 anni di insonne magistero, ma soprattutto nella testimonianza di una vita spesa di fronte al mondo senza mai farsi condizionare o frenare da nessuna considerazione di tipo naturale, scientifico o socio-politico.
Sin dai primi giorni del Suo pontificato, Giovanni Paolo II ha servito il rapporto tra Dio e l’uomo come dialogo fra Cristo, presente nel mistero della Chiesa, e il cuore umano. Che non può accontentarsi mai delle proprie misure, dei propri progetti e delle proprie ideologie; che – anzi – vive la tentazione permanente di eliminare Cristo e la Chiesa dall’orizzonte della sua coscienza e della storia, al prezzo di una sostanziale inconsistenza della sua identità e della perdita della sua libertà.
Il Beato Karol Wojtyla – grazie alla costanza della grande tradizione cristiana che da duemila anni urge la vita e la coscienza degli uomini nei punti anche drammatici o tragici della sua storia – è certamente un grande testimone del cattolicesimo del Terzo Millennio, un cattolicesimo che ha saputo liberarsi da tanti orpelli del passato, un cattolicesimo che proprio per il magistero del Papa Giovanni Paolo II è riuscito a liberarsi da riproposizioni di carattere sentimentale o moralistico che aggrediscono ancora oggi il cuore vivo della Chiesa.
Il cristiano oggi deve saper ritrovare la radicale semplicità della fede come esperienza di vita nuova, da vivere appassionatamente nelle circostanze di ogni giorno e verificando che la fede vale più della vita, perché solo la fede rende ragionevole e bella l’esistenza. Ma soprattutto, facendo esperienza di questa vita nuova, la Chiesa deve continuare l’opera sempre nuova di evangelizzazione che rende possibile l’incontro tra Cristo e il cuore, e con esso l’esperienza di una conversione totale. «Quando ho incontrato Cristo mi sono scoperto uomo», diceva Gaio Mario Vittorino.
In questo senso la beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II è la più grande sfida a tutti gli uomini di buona volontà.