Può darsi che, dopo la sconfitta ai ballottaggi, il governo Berlusconi cerchi di tirare avanti per un altro po’. All’ultimo comizio di Napoli il presidente del Consiglio ha garantito che nulla sarebbe cambiato nella sua tabella di marcia anche nel caso di un ko elettorale. Come se non fosse stato lui a trasformare un voto amministrativo in un test nazionale sulla sua persona, e quindi sulla solidità dell’esecutivo.
Il destino del premier sembra comunque segnato, e così anche il destino del «berlusconismo». Un governo sostenuto da un Pdl frantumato nei personalismi, da una Lega tentata di fare il passo indietro per riconquistare i voti perduti al Nord, e da una pattuglia di «responsabili» raccogliticci non può fare tanta strada. È una questione di tempo, se poco o tanto si capirà in fretta; a poco a poco il leader incontrastabile del centrodestra si farà da parte, e tutto cambierà.
Ma la caduta di Berlusconi non riguarda soltanto lui. La sconfitta tocca anche la sinistra, che pure esulta per la conquista dei municipi, e fra un po’ anche i nuovi miti spuntati dal nulla e acclamati come il «nuovo», cioè Grillo e De Magistris. Sono miti che incarnano un idolo, un totem illusorio: che la politica possa risolvere tutto. Da quasi vent’anni Berlusconi incarna questo mito della politica da cui dipendono i destini dell’Italia.
Questo mito coinvolge tutti gli attori di questa politica: i berlusconiani, che si preoccupano di sostenere a ogni costo il leader taumaturgico, ma anche gli antiberlusconiani, coloro che gli sparano addosso, gli editorialisti di Repubblica e del Fatto, gli avversari politici convinti che tutto ripartirà per il meglio una volta sistemato il Cavaliere. Oggi se la prendono ancora con lui, domani torneranno a prendersela con qualcun altro, magari con gli stessi che sostengono oggi, perché non sarà cambiato lo schema di sperare il cambiamento della politica.
È un gioco alimentato da una classe di intellettuali cinici e lontani dalla realtà, che prima hanno creato questo mondo e questa illusione, e ora facendo finta di niente pensano sempre a buttare giù uno piuttosto che un altro, e continuano a fare in modo che il popolo non capisca qual è il problema reale, che è il darsi da fare per uscire dalla crisi. Creano i miti, una realtà virtuale cui attribuiscono poteri quasi sovrumani e che poi distruggono, mentre lavorano per occultare qual è la «realtà reale».
Sono quelli che alcuni anni fa imputavano al governatore di Bankitalia Fazio la radice di ogni disastro finanziario, e hanno impedito di vedere i prodromi della vera crisi economica, ben più grave e più devastante per la vita reale di milioni di persone. Guardiamo a Napoli, un altro esempio clamoroso: un personaggio che non esiste, un ex magistrato sconfessato dalla magistratura per le sue inchieste fallite ma dagli effetti destabilizzanti, che è diventato il nuovo eroe del popolo semplicemente perché è stato inventato da programmi televisivi come Annozero. De Magistris è questo.
Sono questi i personaggi che oggi dovrebbero fare l’esame di coscienza. Sono gli intellettuali separati dal popolo, gli inventori dei nuovi miti, che agiscono con l’appoggio della televisione e della stampa, di qualunque proprietà e orientamento: un sistema mediatico che non è più a servizio della gente ma si preoccupa di completare l’opera di alimentare la confusione. Da servire il popolo a stordire il popolo. Da questo punto di vista, destra e sinistra sono uguali.
Il risultato delle amministrative è dunque il fallimento di un’idea di politica miracolosa, risolutiva, rimedio universale alla complessità della vita. L’esito del voto a Milano e Napoli è la caduta dell’illusione che si possa fare politica senza partire dall’esperienza dell’io, dal basso, dalle opere, dall’incontro con i reali bisogni della gente; e chi non ne prenderà atto, andrà incontro a nuove delusioni, ora da una parte ora dall’altra.
La campagna elettorale di Milano, nelle migliaia di persone che l’hanno fatta tra la gente e lontano dalle telecamere sfidando il clima violento e quasi intollerante verso una presenza che si pone, ha fatto riscoprire i veri bisogni: il lavoro che non c’è, il futuro incerto, la solitudine che dilaga. Riscoprire i bisogni e cominciare a rispondervi. Allora il problema è continuare a costruire sull’esperienza, sulle opere. L’esperienza è l’unica che nel tempo cambia la storia. Rimane solo in piedi chi ha costruito dal basso, chi ha un’esperienza, chi lavora.