Ho avuto occasione di incontrare, più di trent’anni fa, Pat Buchanan, guru, giornalista e voce controversa del conservatorismo americano, nella parrocchia a Washington, DC, in cui ero stato incaricato di celebrare la Messa Tridentina. Non fui sorpreso nel vedere che Buchanan preferiva assistere alla messa secondo il rito antecedente al Concilio Vaticano II. In più, ero contento di avere l’opportunità, durante l’incontro “caffè e brioche” dopo messa, di sottoporgli una questione che mi lasciava perplesso, cioè la posizione apparentemente anti-ispanica di molti conservatori cattolici americani, così come risultava dal dibattito sull’immigrazione illegale.



Mi chiedevo, cioè, perché come cattolici tradizionalisti (cosa evidente dal loro amore per la Messa Tridentina) non riuscissero a vedere la crescente presenza ispanica nella Chiesa come qualcosa di positivo che, se gestito in modo adeguato e corretto, avrebbe potuto rafforzare la risposta della Chiesa all’agnosticismo laicista di tanta cultura dominante.



La questione mi è tornata alla mente questa settimana leggendo l’editoriale di Buchanan sull’ultimo numero di The American Conservative (luglio 2011). Nell’articolo, intitolato “Gettati ai leoni”, Buchanan descrive le persecuzioni contro i cristiani nei Paesi del Medio Oriente dove gli Stati Uniti, in nome dell’esportazione della democrazia, hanno rimosso, o stanno tentando di rimuovere, dittature sotto le quali i cristiani potevano praticare liberamente la loro fede.

Buchanan cita le parole di un vescovo anglicano, un palestinese, a Tony Blair: se gli “alleati” avessero invaso l’Iraq e deposto Saddam Hussein, “sarebbero stati responsabili di svuotare l’Iraq, la patria di Abramo, della presenza dei cristiani”. In effetti, come nota il Financial Times, “dopo quasi 2000 anni, i cristiani in Iraq ora si trovano a prendere apertamente in considerazione la loro sparizione. Perfino alcuni dei loro sacerdoti consigliano la fuga”. La “liberazione” dell’Iraq, guidata dagli Stati Uniti, ha prodotto per i cristiani iracheni la più grande catastrofe dai tempi di Cristo.



Un pericolo simile minaccia ora i cristiani in Siria. In Egitto, i cristiani copti sono perseguitati. Buchanan invita il presidente Obama a prendere in considerazione “come invece non fece il presidente George W. Bush, cosa accade agli arabi cristiani quando una maggioranza musulmana a lungo repressa arriva al potere”.

Buchanan menziona il libro, pubblicato cinquant’anni fa, di D.W. Brogan (The Price of Revolution) ed elenca i periodi di orrore che sono seguiti a molte delle rivoluzioni fatte “dall’uomo occidentale così spesso intossicato dal laicismo”, dalla Rivoluzione Francese a quella di Cuba, a Pol Pot. L’editoriale si conclude con una domanda: “Quando questo idolo della modernità chiamato democrazia, in cui nessuno dei nostri padri credeva, è diventato un ‘vitello d’oro’ davanti al quale tutti dobbiamo inginocchiarci in adorazione?”.

Si può essere più o meno d’accordo, in tutto o in parte, con il discorso di Buchanan, ma penso che sollevi un punto molto importante oggi per i cattolici americani, specialmente per quelli che si definiscono conservatori. A mio parere, la questione dell’immigrazione ispanica pone domande simili ai conservatori cattolici: ha importanza che questi immigrati siano, almeno finora, cattolici e che potrebbero rafforzare la presenza della Chiesa cattolica nella società americana, se correttamente istruiti e trattati con rispetto, amicizia e dignità? 

Questo è quello che ho domandato a Buchanan trent’anni fa dopo la Messa Tridentina. Sfortunatamente non ho ottenuto risposta, perché qualcuno gli ha portato un caffè caldo con una ciambella e se lo è trascinato via.