Mal d’Africa

ALBERTO PIATTI, segretario generale della Fondazione Avsi, parla del disastro umanitario che si sta verificando in Somalia e che coinvolge una popolazione di dieci milioni di persone

Decine di migliaia di persone in fuga dalla più grave carestia che abbia colpito il Corno d’Africa in questi ultimi sessant’anni: è la dimensione del disastro umanitario che si sta verificando in Somalia e che coinvolge una popolazione di 10 milioni di persone. Papa Benedetto XVI ha di nuovo richiamato l’attenzione della comunità internazionale, lanciando un appello e provvedendo direttamente con un aiuto concreto immediato attraverso il Pontificio Consiglio “Cor Unum”, il dicastero della Curia Romana presieduto dal cardinal Robert Sarah che coordina e organizza le azioni umanitarie della Santa Sede in caso di catastrofi o di crisi.

Ma cosa sta accadendo? Da due anni in Somalia non piove e la già fragile situazione sociale del Paese, anche a causa del conflitto endemico che lo caratterizza, ha determinato uno stato di collasso. Le conseguenze si evidenziano nella fuga di quelle migliaia di persone che, al ritmo di 30mila al mese, stanno raggiungendo il campo profughi di Dadaab, in Kenya, dove la Fondazione Avsi opera dal 2009  con progetti di assistenza ed educazione.

Non è soltanto la siccità prolungata la causa primaria della crisi somala: la speculazione in corso da anni sulle materie prime alimentari, con il prezzo dei cereali cresciuto del 71% rispetto al giugno 2010 (secondo la Fao), determina un aggravamento progressivo delle condizioni di sussistenza minima della popolazione. Difficile pensare che non si possa intervenire, ad esempio con sistemi di stoccaggio che possano calmierare le ansie di guadagno degli speculatori. Lo stesso Benedetto XVI, intervenendo di recente  alla Conferenza internazionale della Fao, aveva ribadito che “bisogna fare di più per sconfiggere la fame. Il quadro internazionale e le ricorrenti apprensioni determinate da instabilità e dall’aumento dei prezzi domandano risposte concrete e necessariamente unitarie per conseguire risultati che singolarmente gli Stati non possono garantire.

Questo significa  fare della solidarietà un criterio essenziale per ogni azione politica e strategia, così da rendere l’attività internazionale e le sue regole altrettanti strumenti di effettivo servizio all’intera famiglia umana ed in particolare agli ultimi”.

In un servizio di inizio luglio, La Stampa ricordava che “al recente G20 dell’Agricoltura, in Francia, le proposte per bloccare il land grabbing (l’accaparramento di terre nei Paesi in via di sviluppo da parte di società o stati del mondo ricco) per controllare i biocarburanti, o per utilizzare gli stock di alimenti per contenere la volatilità dei prezzi sui mercati agricoli, sono state sostanzialmente accantonate”.

La Fondazione Avsi, che a Dadaab sta operando per la crescita di una nuova generazione di somali, auspica che questa crisi umanitaria sia un’opportunità per ripensare tali politiche speculative. Per Fondazione Avsi dietro questi numeri drammatici ci sono volti di persone sofferenti, madri coraggiose ma stremate, padri che non riescono a provvedere ai propri figli, bambini che non riusciranno a diventare grandi.

Per questo, continuando il nostro compito, abbiamo raccolto l’appello urgente di Benedetto XVI, attivando insieme ad Agire (l’Agenzia italiana per la risposta alle emergenze) una campagna per contribuire ad aiutare le migliaia di profughi in fuga dalla Somalia. E’ nella risposta immediata a un bisogno primario, come quello che drammaticamente vivono migliaia di essere umani senza cibo, che si costruisce un futuro migliore per tutti.

Aggiornamenti e info: www.agire.it

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