Il “grande attacco” contro i nostri titoli di Stato (tragicomico uno dei politici della maggioranza che urlava “giù le mani dall’Italia, che è un grande Paese!”) ha offuscato il campo di battaglia libico, del quale oggi fatichiamo a ricordarci.

Del resto, raramente c’è stata una guerra più opaca nelle ragioni e negli obbiettivi di quella scattata con la scusa della “no fly zone” sui cieli nordafricani. E a conferma di ciò la settimana scorsa erano circolate le dichiarazioni del ministro degli Esteri francese, il quale ipotizzava una soluzione negoziale al conflitto, in pratica una mediazione con il bersaglio numero 1: Gheddafi in persona.

Era parsa una sconfessione clamorosa di ciò che la stessa Francia aveva imperiosamente perseguito fin dall’inizio, quando aveva proclamato e costretto gli altri alleati a proclamare fuori gioco il leader libico, tentando persino di eliminarlo. Ma il fatto è che grazie alla cinica operazione libica Parigi è rientrata appieno nel gioco nordafricano (ne ha scritto acutamente Gian Micalessin) ed è in grado oggi di condizionare il campo e le regole della partita.

L’Italia intanto si è fatta piccola e il bravo ministro Frattini si trova a dover simultaneamente fronteggiare i grandi disegni degli “alleati” stranieri e a rammendare gli strappi provocati da quelli interni. Alla Lega non sono mai piaciute le missioni internazionali e mai ha fatto mistero di questa contrarietà. Lo stillicidio di critiche, svalutazioni, manifestazioni di disinteresse ha compromesso la compattezza del governo sul delicato dossier, compattezza che è il requisito indispensabile per sostenere le ragioni di impegni tanto difficili davanti al popolo elettore e davanti al mondo.

E tale è stato il lavorio di demotivazione che oggi l’Italia rischia di perdere uno degli ultimi pezzi della sua rispettabilità e della sua onorabilità fuori dai confini: la partecipazione alle missioni “volute” dalla comunità internazionale. È stata una sorta di “apriori” di questi decenni, a volte dettato più dalla fragilità che dalla forza: sulla Libia, ad esempio, l’Italia avrebbe potuto seguire la linea della Germania, ma avrebbe avuto la “gravitas” per sostenere di fronte al mondo una posizione non interventista?

Cioè, si può anche non partecipare a un’operazione internazionale se questa non risulta convincente, ma occorre avere la faccia e la forza di dire no. In ogni caso, l’Italia ha sempre detto sì, sia per operazioni sotto egida Onu, sia per operazioni di coalizione a partire dalla celebre Forza Multinazionale spedita in Libano nel 1982. E ha fatto bene, per la propria credibilità se non per quella delle missioni in se stesse.

Ma da tempo la componente decisiva della maggioranza di governo afferma che le missioni costano troppo e dunque vanno abolite. Le parole addotte sono francamente mortificanti e una tra le tante sentite è particolarmente infelice: “La comunità internazionale non può chiederci di rientrare dal debito e insieme spendere soldi nelle missioni” (e per che cosa dovremmo spenderli, per le quote latte?).

In questi stessi giorni del clamoroso voto “giustizialista” della Lega contro il deputato Papa (ricordate quando l’onorevole Leoni sventolava il cappio in Aula?), il concetto del disimpegno è stato ribadito dal ministro Maroni, che ha dettato la linea leghista. Ma se l’Italia dovesse suonare la ritirata e adottare una politica isolazionista, cosa resterebbe del nostro profilo nel social network del mondo?