Spesso un male irreversibile si forma, dentro un corpo, per la somma di tanti piccoli mali, ciascuno dei quali di per sé sarebbe curabile, ma che, messi insieme, producono degenerazioni, stati cronici, collassi strutturali. Questo vale per il corpo umano, per il corpo di un paese e anche – come nel caso che stiamo per trattare – per un’intera civiltà.

I disordini che si vanno spandendo a macchia d’olio in Inghilterra, e che hanno già prodotto il primo morto, hanno dato luogo, per ora, a commenti a dir poco anacronostici: si è parlato di “teppisti”, con il disprezzo che i lord inglesi dei cartoni animati riservano a qualunque altro rappresentante del genere umano. Le cronache hanno riportato – quasi fosse la notizia principale – che il Primo Ministro ha dovuto addirittura, pensate un po’, rientrare anticipatamente dalle vacanze (in Toscana).

Questo paese straordinario, vincitore di tutte o quasi tutte le guerre cui ha preso parte, nel corso della storia, di fronte alla nuova emergenza sa balbettare solo parole di disprezzo, trattando questa rivolta come una semplice questione di ordine pubblico.
Bene, potranno magari soffocare questa rivolta, ma altre ne verranno, perché il mondo che ne è il teatro – ossia la nostra civiltà, tutto il sistema della nostra civiltà – sta andando in frantumi.

Mentre l’augurio che mi faccio è, naturalmente, che i disordini finiscano al più presto e che nessun lutto macchi più di nero queste giornate, comincio a pensare che sarebbe forse il caso di mettere questi fatti insieme a molti altri, apparentemente diversi, che però sembrano destinati, nel tempo, a comporre un puzzle tanto inquietante quanto coerente.

Tutti sappiamo qual è, oggi, il problema dei problemi: i debiti degli stati. Gli stati del mondo si stanno trasformando in debitori insolventi. Quando un ente non riesce più a restituire il corrispettivo dei titoli che ha emesso si dice che va in bancarotta. Bene, adesso chi sta andando in bancarotta è tutto il nostro mondo, quello che ci siamo abituati a considerare il mondo civile, portatore di valori, ecc.

L’Inghilterra si è autocullata per una quindicina di anni in un’illusione di ricchezza che ha riempito Londra di lusso sfrenato, ma ha ridotto intere classi sociali sotto la soglia della povertà. Per molte famiglie medie inglesi in questi anni l’unico modo per non diventare indigenti è stato quello di imitare lo stato: accumulare debiti.

Ora tutto questo gioco non regge più. Si è cercato, nel 2008, di sostituire la bolla esplosa con un’altra bolla, ma intanto le periferie, i quartieri popolari, le aree urbane più sofferenti cominciano a sperimentare – anche se le premesse c’erano da diversi anni – uno sganciamento degli elementi che tenevano insieme la società. Le città si stanno sgretolando, e questo non è un fenomeno politico: è un fenomeno culturale.

Chi ha parlato di crisi educativa ha toccato il problema. Io però lo vorrei trattare partendo da un altro punto. Nella mia vita ho molto a che fare con i giovani. Sono giovani di tutti i tipi: brillanti studenti universitari, studenti di scuole professionali, giovani disoccupati, ragazzi che la scuola non riesce più a riprendersi. Sono anni che tratto con loro: cominciai che potevo definirmi il loro fratello maggiore, mentre tra non molto sarò, al più, una specie di nonno acquisito.

Nel tempo, mi ha colpito un fenomeno che sta correndo anno dopo anno sempre più velocemente: la perdita della dimensione simbolica. Molti ragazzi dai sedici ai diciott’anni non sanno più cos’è il Cavallo di Troia, chi era Ulisse, chi ha scritto la Divina Commedia (vanità di tutte le spettacolarizzazioni televisive!): non hanno mai nemmeno sentito nominare i Blues Brothers. Il crollo delle Twin Towers è un ricordo confuso. È probabile che molti di loro – non in Manciuria, ma in Italia, in Francia, in Inghilterra – non abbiano mai nemmeno sentito nominare Gesù Cristo, e questo a dispetto della pubblicità che i fondamentalisti islamici gli hanno fatto.

Del resto, nemmeno di Maometto sanno nulla, nemmeno dei fondamentalisti e di Bin Laden. Resta solo Halloween, che è più facebook-genico. Ma senza simboli non c’è civiltà, e il nostro rapporto con i segni si fa disordinato: una specie di labirinto. L’immediata superficie delle cose diventa a poco a poco il solo orizzonte, non c’è più spazio per domandarsi: cosa significa questo?, cosa significa quello? La bellezza è solo qualcosa che ci si struscia addosso da qualche parte: occhi, palato, orecchie.

E tutta la ricchezza, il lusso di cui Londra (come altre città) si è ammantata dove andrà a finire? Mi ha colpito il fatto che i giovani ingliesi in rivolta se la prendessero soprattutto con le vetrine dei negozi. Distruggere le cose, liberarsi di tutti gli oggetti del desiderio (ricchezza, potere, gloria) che gli hanno insegnato a idolatrare. L’uomo soffre la violenza fascista dell’Immediato (e Insensato), e reagisce come una bestia in gabbia.

Quando parliamo di educazione, però, occorre stare attenti. Non sono affatto certo che insegnare meglio la tradizione culturale della nostra civiltà servirebbe a qualcosa. Tra i protagonisti dello sfascio spesso ci sono stati proprio i migliori insegnanti, gli educatori più motivati, i pedagogisti più solleciti, i professori che spendevano più tempo con i ragazzi.

Non è stato il menefreghismo a produrre la rovina: è stata la rovina a produrre il menefreghismo e anche le molte inutili virtù modello attimo fuggente, molto impegno educativo dal quale sono usciti giovani depressi, spaesati, incapaci di rapportarsi con il presente.

Il futuro dei nostri figli è un tema difficile e delicato: essi sono la prima generazione, dal Dopoguerra a oggi, a dover segnare un passo indietro rispetto a chi li ha preceduti. Non c’è più un mondo da ricostruire, da conquistare. Dobbiamo fare perciò molta attenzione anche alla minima parola che rivolgiamo loro.

La cosa più importante che possiamo fare per loro è di smettere una buona volta di pensare che il loro bene coincida con il mondo che noi immaginiamo buono per loro. Il loro mondo sarà diverso, e noi siamo i meno indicati a prefigurarlo.
Dobbiamo liberarci del nostro immaginario, dobbiamo fare lo sforzo di non leggere la realtà di oggi con le categorie del passato – cosa che facciamo quasi tutti, è vero, ma così facendo rinunciamo a cercare il senso della realtà, accontentandoci di un senso preconfezionato.

La guerriglia inglese, nata dall’insostenibilità della vita quotidiana, ci chiede di riflettere bene su quello che sta accadendo nel mondo (dal debito Usa alle rivolte in Siria e in Egitto alla guerra-buffonata in Libia, che porterà una situazione somala alle porte del nostro Occidente – e ben ci sta), sullo sgretolamento in atto.

Alla fine dell’Impero Romano, la civiltà fu salvata (e rinnovata alla radice) dal Monachesimo. È in questo che dobbiamo credere: anche se le forme ci sono ancora ignote. Per il momento, è bene ricordare che non tutti quei ragazzi che spaccano le vetrine sono cattivi ragazzi, e che magari tra loro si nasconde un santo di domani.