Se c’è una cosa che sembra irrimediabilmente contraddire ogni possibilità di certezza, che sembra cioè togliere il sostegno solido ad ogni nostro passo, questa cosa è il male. Il male fisico, quello morale, quello psicologico; quello, insomma, che nella morte trova il suo implacabile e tragico emblema.
Charles Péguy, nella prima metà del 1912 arriva ad uno di quei momenti in cui il male e la morte bussano alla porta dell’esistenza, anzi vi entrano senza tanti complimenti e cercano di squassare ogni certezza. Sono le preoccupazioni nel lavoro (la rivista da cui trae sostentamento per sé, la moglie e i tre figli è ancora una volta sull’orlo del fallimento), le difficoltà familiari (si sente un estraneo a casa sua ed è tentato da una relazione extraconiugale a cui però non vuol cedere), le incomprensioni dei vecchi amici che non lo seguono più dopo il suo ritorno alla fede, gli scontri coi nuovi compagni di strada cattolici che non lo capiscono ed anzi lo esasperano con richieste per lui inaccettabili. Per di più, a febbraio, l’ultimo figlio, Pierre, ha una grave malattia che potrebbe costargli la vita. In mezzo a questo mare di prove Péguy decide di affidare tutto alla Madonna: andrà in pellegrinaggio a Chartres a chiederle di prendersi cura lei di tutte queste necessità.
La descrizione poetica di questa straordinaria esperienza è L’Arazzo di Nostra Signora. Esso è composto da una prima parte in cui il poeta racconta i motivi del pellegrinaggio e i pensieri che l’hanno accompagnato nel cammino e da una seconda che raccoglie le Preghiere fatte di fronte a Maria. C’è un pezzo commovente della prima parte, che si intitola Presentazione della Beauce alla Madonna di Chartres, che mi sembra descrivere bene l’unica cosa che può dare certezza in mezzo al dolore: la sicurezza di un rapporto che è capace di perdonare ogni male, di lenire ogni fatica, di vincere persino la morte: la grazia di Dio, che si manifesta come misericordia.
Tra i motivi per cui Péguy va a pregare a Chartres c’è anche la richiesta di perdono per un giovane collaboratore della sua rivista, René Bichet. Dopo una festa con gli amici dell’università, René si era lasciato andare a provare una iniezione di morfina, la droga di allora, e ne era morto.
Péguy lo affida alla Madonna: «Veniamo a pregarvi per quel povero ragazzo / Che è morto come uno stupido quest’anno, / quasi nella settimana e nello stesso giorno / quando nella paglia e nella crusca nacque vostro figlio»; René era infatti morto poco prima di Natale.
«O vergine, non era il peggiore del gregge. / Non aveva che un difetto nella giovane corazza, / ma la morte che ci fiuta e segue le nostre tracce, / è passata nel buco che s’è fatto nella pelle. / Eccolo ora nel vostro regno. / Siete regina e madre e saprete prenderlo. / Era un essere puro. Lo farete rientrare / nella vostra protezione e indulgenza. / Regina ricevetelo nel vostro perdono. / Dove è passata la morte passerà anche la grazia». Eccola la suprema certezza della misericordia: lo stesso buco della siringa che ha portato via la giovane vita di René è lo stesso buco (lo ripeto perché proprio in questa identità sta la forza della misericordia divina) da cui passa la vita che non finisce, la gioia che non viene meno. Troppo piccola e fragile sarebbe ogni altra certezza se non ci fosse anche quest’ultima, imprevedibile, immeritata sicurezza di una forza che sa abbracciare tutti i nostri mali, cambiando loro di segno. Ed è commovente pensare che la mediatrice di questa certezza sia una giovane donna di un paesino sconosciuto, che oggi, ferragosto, celebriamo nella sua gloria inaudita.