C’è un attore da non sottovalutare nella politica internazionale, e in particolare guardando al caos che va dal Nord Africa fino a tutto il Medio Oriente: la Turchia. Sono da guardare con molta attenzione le mosse che Ankara sta portando avanti negli ultimi tempi, da ultimo la visita nei giorni scorsi negli Stati Uniti del Premier Erdogan, a margine della quale ha dichiarato: «Abbiamo interrotto le discussioni con l’amministrazione siriana. Non avremmo mai pensato di arrivare a questo punto, ma purtroppo questa amministrazione ci ha spinti a prendere tale decisione».
Sembra chiara l’intenzione di voler ottenere una sorta di legittimazione dagli alleati americani (e dall’alleatissimo Obama) a tentare di esercitare una nuova egemonia in quella zona. Tutto questo accade subito dopo una serie di viaggi effettuati da Erdogan in Medio Oriente e le recenti tensioni con Israele in seguito alla diffusione di un report dell’Onu sull’uccisione di nove turchi lo scorso anno durante un raid israeliano contro un’imbarcazione carica di aiuti diretta a Gaza.
Questa politica cosiddetta neo-ottomana ha ragioni innanzitutto politico-strategiche: Ankara ha ben presente il vuoto di leadership che esiste da un po’ di tempo nell’area e vuole insinuarsi in esso, cercando di migliorare progressivamente i rapporti con gli interlocutori arabi come Iran e Iraq soprattutto.
L’intenzione è quella di essere al centro di un sistema di paesi che vanno dalla Bosnia nei Balcani, fino allo Yemen e all’Africa, utilizzando l’Islam come fattore unificante. Ci sono però anche ragioni economiche: il progressivo aumento delle relazioni con questi paesi ha fatto sì che la Turchia risentisse in maniera molto attenuata degli effetti della crisi economica. Sfruttando le comuni origini culturali con i paesi arabi, la Turchia può davvero raggiungere l’obiettivo “imperiale”. Questo fatto, visto dal punto di vista del mondo occidentale, non costituisce per forza un fattore negativo.
Una Turchia moderna, democratica e secolare, pur allineandosi progressivamente alle politiche degli Stati membri dell’Ue, potrebbe svolgere un ruolo costruttivo e stabilizzatore nel promuovere la comprensione tra civiltà e tra l’Unione europea e i paesi della regione circostante la Turchia, particolarmente il Medio Oriente.
Questo però non può prescindere da una Turchia che davvero voglia raggiungere gli standard di democrazia che da molti anni l’Europa esige. L’Unione europea deve assolutamente comprendere il momento e mantenere su questo livello i rapporti con Ankara: ciò non deve voler significare che la Turchia entrerà a far parte dell’Unione europea, ma non deve significare neppure lasciar entrare da sola la Turchia nel mondo mediorientale, con il rischio che diventi un nuovo Iran.
Le relazioni tra Ue e Turchia devono garantire che Ankara resti saldamente inserita nell’ambito delle strutture europee. Una Turchia partner dell’Ue, stabile, democratica e prospera è nell’interesse di tutti. Soprattutto di Israele.