La “legge” del Papa

Benedetto XVI, in visita al Bundestag, ha affrontato in modo originale il tema del diritto e della giustizia. Il commento di FERNANDO DE HARO su quel che ha detto il Papa

È successo un’altra volta. Dove tutto sembrava essere stato detto, la questione è stata riaperta grazie a Benedetto XVI. In questo caso riguardo il diritto e la giustizia. Ossia, la vita. La linea rossa che va dagli antichi greci fino al secondo dopoguerra era rimasta sottoterra. Fino a questo momento, infatti, «la questione circa i fondamenti della legislazione sembrava chiarita». Ma «nell’ultimo mezzo secolo è avvenuto un drammatico cambiamento della situazione». Quasi tutto è stato dominato dal positivismo.



Da una parte si sono schierati coloro che dicono che la legge è la legge, cioè quella che viene approvata dal Parlamento e basta. Sono la maggioranza. Hanno trasformato la ragione e la natura in «edifici di cemento armato» senza aperture al mondo. Dall’altra parte c’è una minoranza, ogni volta sempre più arrogante e incapace di parlare il linguaggio dell’uomo moderno, fatta da coloro che lottano per difendere il diritto naturale, la giustizia non scritta. Molti di loro hanno ripetuto per decenni sani principi che non sono riusciti ad aprire nemmeno una breccia nel muro del razionalismo.



Sulle loro bocche la parola natura è diventata ogni volta sempre più astratta e si è allontanata dal principio della vita. Ma dal 22 settembre si può dire, senza esagerare, che lo scenario può iniziare a cambiare grazie al discorso del Papa al Bundestag.

Benedetto XVI ha aperto finestre che sembravano non esistere. Come? Quello che ha scritto Hannah Arendt, a metà degli anni ‘50 nel suo diario, può aiutarci a capire in che cosa consiste questo gesto che ha fatto entrare aria fresca in un ambiente chiuso: «Non credo che una religione […] possa fornire un qualche fondamento a qualcosa di così chiaramente politico come le leggi. Il male si è rivelato più radicale di quanto si pensasse. Per dirla in modo obiettivo, i crimini moderni non sono previsti dai Dieci comandamenti».



Se il Santo Padre si fosse limitato a essere un leader religioso che ripete il Decalogo non avrebbe indicato un metodo adeguato per rispondere al desiderio di giustizia, per dare un fondamento alla legge e alla convivenza tra gli uomini. Soprattutto dopo quello che è successo nel XX secolo. Né sarebbe servito, come ha detto il Papa stesso, cercare di imporre «allo Stato e alla società un diritto rivelato». Il cristianesimo non lo ha mai fatto. Il cristianesimo ha sempre «rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto».

E quello che abbiamo visto giovedì scorso al Bundestag è stato un uomo che, grazie alla sua fede, ha utilizzato la ragione e ha parlato della natura in un modo che risultava provocatorio e rinfrescante perché il diritto non diventi, come diceva Sant’Agostino, lo strumento di una grossa banda di banditi. La sua forza è stata quella di considerare la realtà che tutti vediamo senza censurare il fatto che in essa il Mistero di Dio è un fattore che conta. I parlamentari tedeschi e il mondo intero hanno visto un cristiano che non ripete formule, intelligente e creativo nell’affrontare il problema dei fondamenti della democrazia e del diritto.

Il Papa ha mostrato il percorso di un “cuore docile” aperto «al linguaggio dell’essere», capace di riconoscere la grande evidenza che «l’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura». Da questa forma esistenziale di considerare la natura umana sorge la grande domanda: «È veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiritus?».

Una domanda che è la testimonianza di uno sguardo complessivo, di una ragione che non è razionalista, ma desta e che si chiede qual è la propria origine. E che dall’origine si volge verso il diritto: «Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge». La provocazione che porta con sé questo modo di usare la conoscenza è, senza dubbio, rivolto ai giuristi. Ma anche, e soprattutto, a coloro che affrontano i problemi della vita. Quindi, per tutti.

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