Senza ideale non c’è Pil

Di fronte alla crisi, la reazione più facile è di riversare le colpe sul governo. Servono invece, afferma GRAZIANO TARANTINI, uomini certi che lavorano per il bene comune

Due settimane fa, ascoltando l’intervento del presidente Napolitano al Meeting di Rimini col suo appello a uno sforzo comune di fronte alla drammaticità del momento che stiamo attraversando, avevo colto quell’accento di verità che è condizione indispensabile per ripartire, per rimettere in moto l’Italia. Il capo dello Stato era stato chiaro nell’indicare la necessità di una svolta che non poteva più essere rimandata, davanti al rischio concreto di consegnare alle giovani generazioni un paese a pezzi. Purtroppo però in pochi giorni siamo precipitati di nuovo in un clima di grande confusione, che fa capire che la speculazione finanziaria è solo un sintomo della crisi e non certo la causa. E così si alimenta l’illusione che la risposta ai problemi stia in un cambio di governo oppure nell’arrivo di qualche demiurgo in grado di tirarci fuori dalle secche in cui ci siamo incagliati. È un vecchio vizio che ritorna, ma nulla è più fuorviante.

I problemi li conosciamo benissimo, serve la volontà di affrontarli seriamente. E non potrà essere l’Europa a risolverceli. Ogni paese alla fine se la deve cavare con le proprie forze. Per realismo sappiamo infatti che nei momenti di crisi finiscono col prevalere i legittimi interessi nazionali di ciascun Stato membro, anche se spesso a scapito di politiche lungimiranti per il consolidamento dell’Europa e, quindi, di una maggiore stabilità futura per tutti. In ogni caso c’è da augurarsi un maggiore protagonismo – che oggi non c’è – dei nostri politici in sede europea per trovare convergenze che ridiano slancio anzitutto all’euro. Gli strumenti possono essere tanti, dagli eurobond a – soprattutto – una politica economica più coordinata.

Un’azione concertata a livello europeo è indispensabile di fronte a un’economia globale che è sempre più interdipendente. Nessuno è al riparo dalle conseguenze della crisi. Il contagio non è più solo un rischio, è un dato di fatto. Neppure i paesi che crescono di più come la Cina o l’India possono ritenersi immuni. Basti pensare all’esposizione cinese verso il debito pubblico americano. In tale situazione vanno ripensati i paradigmi che sinora hanno caratterizzato la creazione della ricchezza e la crescita. E qui l’Europa è chiamata a mettere in campo tutta la sua forza. Il sistema non tiene più. Lo dicono le quotazioni del mercato azionario, che non hanno più alcuna corrispondenza col valore reale delle aziende.

Tornando all’Italia, nell’immediato non ci sono molte alternative per rispondere all’imperativo di riportare il debito pubblico sotto il Pil. Si adottino misure drastiche come possono essere una patrimoniale o un condono, per quanto già solo la parola stessa possa giustamente suonare ripugnante. Ma fatto questo deve seguire da subito un’azione strutturale, che passa soprattutto anche dal far pagare a tutti le tasse dovute, come richiamato con forza dal presidente Napolitano, attraverso un rigore fiscale perseguito con serietà, evitando i facili slogan demagogici che portano a formulare equazioni del tipo “ricco uguale evasore”.

Un secondo livello di intervento riguarda il cosiddetto costo della politica. Il paese in questo momento ha bisogno di segnali che possono avere un tono demagogico, ma che vanno dati. E non tanto per i risparmi che ne deriveranno e che saranno comunque relativi, quanto per indicare una direzione di marcia credibile. In cima alla lista c’è l’abolizione delle province più volte annunciata, ma sempre rinviata. Ora non è più tempo di aspettare. Insieme al taglio delle province si deve procedere anche alla riduzione di parlamentari e consiglieri regionali. Diverso è il discorso sui comuni, che come espressione dell’identità di un territorio e per il loro rapporto diretto coi cittadini vanno mantenuti, incentivando piuttosto le aggregazioni nella gestione dei servizi per ottenere economie di scala e accrescere l’efficacia operativa.

Un terzo aspetto da sottolineare è la necessità di premiare chi investe e crea occupazione oltre a quella di un reale e non più rimandabile aiuto alla famiglia. Forse ai più sfugge il ruolo insostituibile di vero e proprio ammortizzatore sociale che questa svolge in tantissime situazioni. Non si considerano le positive ricadute che ha sull’intero sistema. Perciò serve una politica che guardi davvero con favore alla famiglia come soggetto economico e sociale capace di sostenere la crescita e di dare un futuro al paese.    

C’è infine una nota di fondo che vorrei riprendere dal già citato intervento di Napolitano, quando ha ha invitato la platea del Meeting a portare “nell’impegno politico le vostre motivazioni spirituali, morali, sociali, il vostro senso del bene comune”,  e “nel tempo dell’incertezza il vostro anelito di certezza”.

Il presidente ha così riconosciuto e valorizzato l’identità di chi aveva di fronte come espressione di un movimento che nasce dal basso, contraddistinto da una grande passione ideale. E lo avrebbe fatto davanti a qualunque altra platea dove avesse colto gli stessi connotati. Questo è infatti il fattore che più manca e di cui oggi c’è maggiormente bisogno sia in politica che nella gestione di un’economia responsabile. La crisi presente rende ancora più evidente tale necessità. Eppure proprio da persone che siano mosse da tale passione ideale può venire la capacità di sacrificarsi per il bene comune, quel tratto di gratuità che fa la differenza e rimette in moto un paese ripiegato su se stesso. In Inghilterra per fronteggiare l’emergenza sociale si mandano esercito e polizia nelle scuole, in Italia abbiamo una risorsa più grande in cui trovare la forza per ripartire in questo momento difficile.      

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