Brutale. La decisione di Standard & Poor’s (S&P’s) di abbassare il rating del debito di nove paesi dell’area euro – la Francia ha perso la sua tripla A – è stato un modo brutale per mettere in chiaro quale sia il costo di una “non-Europa”. Venerdì scorso, l’agenzia di rating ha evidenziato l’insufficienza delle riforme adottate dal Consiglio europeo di inizio dicembre. Riforme che saranno completate alla fine di gennaio. Modificare il Trattato di Lisbona per ottenere una maggiore disciplina fiscale non serve, non è sufficiente.

Dopo l’annuncio di S&P’s tutti hanno reagito. La Bce ha detto che la decisione è stata politica, la Commissione l’ha qualificata come incoerente. Lacrime inutili. Se l’Europa non ha una Banca centrale come la Federal Reserve degli Stati Uniti e un governo economico resta sottomessa ai mercati e alle sue agenzie di rating. È la tentazione della tecnocrazia. L’idea sbagliata che una buona gestione, in questo caso fiscale, possa risolvere tutto.

La tentazione della tecnocrazia, la paura di fare politica, quella buona, che serve ai popoli, è un fantasma che si aggira per l’Europa e che colpisce anche il nuovo governo della Spagna, appena uscita da otto anni di zapaterismo. Dopo la decisione di S&P’s, Mariano Rajoy ha assicurato che la Spagna ha un governo che sa cosa fare, che farà il suo dovere. Già ha fatto tagli per 16,5 miliardi di euro, ha aumentato le tasse e farà una manovra fino a 40 miliardi perché il rapporto deficit/Pil scenda nel 2012 al 4%. Il centrodestra spagnolo, con Aznar, è già riuscito a ottenere quel che sembrava impossibile: soddisfare i requisiti richiesti per far parte dell’euro. Ora ci sarà anche una riforma del lavoro che serve sin dal franchismo e una ristrutturazione del settore finanziario che permetterà di ripristinare il flusso del credito.

La composizione del nuovo governo spagnolo ha messo in chiaro quali sono le sue tre priorità: economia, economia, soltanto economia. Nel nuovo gabinetto le “identità politiche” si sono dissolte. Le due personalità più forti occupano ministeri “tecnici”. E per quelli più politici sono stati nominati dei tecnici. Jorge Fernández Díaz, un cattolico che non nasconde la sua appartenenza ed esperienza cristiana, al ministero dell’Interno dovrà dedicare tutte le sue energie per porre fine a una Eta che non sembra voler morire. E Alberto Ruiz Gallardón, che potrebbe dare un contributo interessante dalla corrente più a sinistra, si dedicherà anima e corpo alla riforma della giustizia, uno sforzo titanico.

Il cambiamento nell’educazione, come nell’ambito della cultura, è decisivo. La Spagna soffre un’emergenza educativa di proporzioni enormi. I tassi di abbandono e di insuccesso scolastico sono i più alti dell’area Ocse. Dall’inizio della democrazia in materia ci sono state solo leggi approvate dai socialisti che hanno portato a un sistema educativo inclusivo, che porta a risultati molto negativi. Inoltre, manca il pluralismo: il mondo della cultura è dominato da una certa classe di intellettuali dal pensiero unico che si autoproclamano progressisti.

La politica in questo campo non favorisce quello che realmente nasce dal basso. Rajoy ha fuso i ministeri dell’Istruzione e della Cultura e vi ha messo a capo un sociologo, José Ignacio Wert. La sua personalità politica non è molto definita. La persona scelta per dirigere il Dipartimento dell’educazione, il maggior organo competente in materia di istruzione, è un altro specialista, in questo caso una ricercatrice. La nomina è stata rinviata per diverse settimane e si pensava che ciò dipendesse dalla volontà di rimediare alla “stranezza” della nomina ministeriale. La persona designata è Montserrat Gomendio, biologa specializzata nella fertilità del cervo rosso. Ha studiato la relazione tra il numero di corna e la capacità riproduttiva di questi animali. Non ha fatto politica finora.

È quasi certo che sia l’uno che l’altra saranno persone disposte a raccogliere tutte le proposte che provengono dalla società civile per dare inizio a un cambiamento indispensabile. Un cambiamento che non può essere limitato solo al controllo del deficit e delle riforme finanziarie. Questa sarà la strada giusta.