Sono iniziati, in Francia, i festeggiamenti per il seicentesimo anniversario della nascita di Giovanna d’Arco. Si trattasse semplicemente di una ricorrenza per esaltare un simbolo patriottico, non varrebbe la pena di occuparsene. In realtà, la vicenda della giovane santa del XV secolo ha parecchio da insegnare anche nelle condizioni in cui troviamo oggi; soprattutto per quanto riguarda una realistica considerazione di che cosa sia l’incidenza del cristiano nella storia.

La prima constatazione è che tale incidenza non è per niente frutto di un calcolo strategico; è una chiamata. Chi avrebbe mai potuto immaginare che una sconosciuta ragazza di un piccolo paesello periferico avrebbe potuto cambiare le sorti di una guerra così lunga che è stata chiamata «dei cent’anni»? Certo non avrebbe potuto immaginarlo neppure la protagonista stessa, che probabilmente pensava a un normale futuro di sposa e madre di famiglia.

Senonché Giovanna sente delle «voci» che la chiamano a un’impresa tanto incredibile quanto ardua: vestirsi da soldato, raccogliere le disperse milizie francesi e capeggiare la riscossa della sua patria contro gli inglesi e i loro alleati borgognoni. Proprio perché ubbidisce senza esitazione a questa stranissima chiamata Giovanna riesce nell’impresa che tutti ritenevano disperata: liberare Orléans e far incoronare nella cattedrale di Reims il reticente re Carlo.

La storia di Giovanna insegna, in secondo luogo, che il giudizio di efficacia non può essere effettuato coi parametri del successo mondano. Da questo punto di vista la sua vita dovrebbe essere considerata un fallimento. Dopo le inattese vittorie, Giovanna è stata infatti arrestata, processata e bruciata come eretica, a diciannove anni, sulla piazza di Rouen. E non sono stati solo i suoi avversari in guerra a condannarla: il presidente del tribunale che l’ha mandata al rogo era un vescovo francese e per giunta un intellettuale, un ex rettore della Sorbona.

Anche la vicenda della sua memoria ha parecchio da insegnare. La fine della Pulzella avrebbe potuto essere tranquillamente catalogata come una delle tante esecuzioni di donne giudicate invasate. Eppure, già qualche decennio dopo la sua morte un nuovo processo, condotto quando ancora erano viventi testimoni oculari del suo comportamento, l’ha completamente riabilitata; e questa volta con l’autorevole sigillo del legato pontificio. In seguito Giovanna è stata sostanzialmente dimenticata anche in patria: un curioso episodio della guerra dei Cent’anni.

Per gli illuministi una dimostrazione che la fede cristiana si fonda sull’irrazionalità più patente; per i romantici un’eroina nazionale da immaginetta; pei i positivisti un evidente caso psichiatrico. Per il vescovo di Orléans Dupanloup, invece, una santa. È stato lui che, a fine Ottocento, ha chiesto a Roma che se ne introducesse la causa di beatificazione. E nel giro di qualche decennio, con grave disappunto dei detrattori e degli interessati esaltatori, Giovanna d’Arco è stata proclamata prima beata (1909) e poi santa (1920). E dichiarare una persona santa significa per la Chiesa indicare in essa il massimo esempio di incidenza possibile sulla storia umana. Ovviamente anche dopo non sono mancati i denigratori.

Ciò nonostante Giovanna rimane un conforto per i semplici cristiani e un’insormontabile pietra d’inciampo per chi pensa che la storia si fa con saggi calcoli che ottengono visibili e permanenti successi mondani.