Il mondo può cambiare molto nel 2012: non sappiamo come evolverà la crisi; inoltre, nell’anno appena cominciato ci saranno elezioni in paesi chiave, e in molti di essi i giochi sono totalmente aperti. Il caso più emblematico è quello degli Stati Uniti. La rielezione per Obama non sarà facile, dato che il tasso di disoccupazione sfiora il 9%. Gli analisti ricordano che nessun Presidente ha avuto un nuovo mandato con una disoccupazione superiore al 7%. Dalla sua parte ha però l’inconsistenza dei candidati repubblicani: né Gingrich, né Romney, né Paul sembrano essere forti.

Tuttavia, Gingrich si distingue per aver fatto proposte realiste come quella di risolvere una volta per tutte la terribile situazione degli oltre 11 milioni di immigrati clandestini, per lo più ispanici. Ma questo non basta. Per la libertà della chiesa statunitense sarebbe certamente meglio che Obama tornasse a casa. La sua richiesta affinché le organizzazioni cattoliche aiutino coppie dello stesso sesso nell’adozione dei bambini ne è una buona prova.

Ci sarebbero cambiamenti importanti in Francia se il socialista Hollande, come prevedono i sondaggi, riuscirà a battere Sarkozy. Hollande ha già detto che vuole cambiare l’accordo sulla riforma del trattato di Bruxelles. L’asse Merkel-Sarkozy, con i suoi pro e contro, salterebbe in aria. Anche il cambio che si prepara in Cina è decisivo. Hu Jintao, Presidente, e Wen Jiabao, Primo ministro, saranno sostituiti da Xi Jinping e Li Keqiang. I cambiamenti di potere nel gigante asiatico di solito sono accompagnati da una maggiore repressione dei dissidenti, dei cristiani.

Le elezioni presidenziali previste per il 1° luglio in Messico e per il 7 ottobre in Venezuela fanno di questi due paesi i protagonisti del mondo che parla spagnolo. Sono due votazioni chiave e i risultati possono avere conseguenze decisive per la regione e per la libertà dei cristiani. In Messico potrebbe arrivare al capolinea, dopo 12 anni, il periodo di governo del Pan (Partito d’azione nazionale). Il Pri (Partito rivoluzionario istituzionale), formazione che ha retto le sorti del Paese per più di 70 anni, ha molte chance di tornare al potere. Il Pan si è indebolito e ha commesso l’errore di rimandare a febbraio l’elezione del suo candidato. Il Pri, con un profilo moderno come quello di Enrique Peña Nieto, parte con un grande vantaggio nei sondaggi.

Peña Nieto ha cercato di allontanare il suo partito dalla vecchia immagine anticlericale che lo ha accompagnato per decenni. Guardando alla visita del Papa in Messico, annunciata per questa primavera, ha promosso una modifica dell’articolo 24 della Costituzione affinché si possano celebrare funzioni religiose in luoghi pubblici (e affinché possano essere trasmesse in televisione) senza autorizzazione del Governo. Finora, infatti, nel Messico di Nostra Signora di Guadalupe c’è bisogno dell’autorizzazione dell’esecutivo. Ma ci sono segnali che indicano che la scommessa del Pri sulla laicità positiva non è del tutto sincera.

Al Senato, uno dei capi del partito, Ángeles Moreno, ha parlato apertamente contro la riforma della Costituzione, ritenuta un attacco alla separazione tra Stato e Chiesa. Sembra che molti dei dirigenti del Pri siano sulla stessa posizione. Il fatto è che il partito che aspira a ritornare al governo non si è rinnovato profondamente. Lorenzo Krause, storico e analista politico, lo ho evidenziato chiaramente qualche settimana fa: “Non sono convinto che il Pri abbia imparato la lezione, nonostante le sconfitte del passato”. Non ha rivisto a fondo “né la censura, né la persecuzione, né la corruzione di López Portillo (Presidente tra il 1976 e il 1982), né il clientelismo, né i suoi usi e costumi che tanti danni hanno procurato al Paese”.

Il ritorno al potere del Pri sarebbe un male, ma non così nefasto come la rielezione di Hugo Chávez alla presidenza del Venezuela. Il suo regime è un autentico virus distruttivo nella regione. Senza i soldi del petrolio venezuelano, infatti, il presente e il futuro di Cuba (Paese che Benedetto XVI visiterà quest’anno), che ora calpesta le libertà, sarebbe molto diverso. Come sarebbe molto diversa la situazione dei regimi populisti di Nicaragua, Ecuador e Bolivia.

Chávez è in testa nei sondaggi, ma non tutto è perduto. La sua malattia lo limita e l’opposizione può fare una campagna intelligente se sarà capace di stare vicino alla gente comune, a quelli che sono più stanchi delle differenze sociali. Il tipo di lavoro che ha svolto Leopoldo López, ex sindaco di una delle municipalità di Caracas, può servire da modello.

Senza il Pri e senza Chávez ci sarà più libertà religiosa in America Latina. E la libertà religiosa è il miglior indicatore di come vengono considerate tutte le altre libertà. L’America di lingua spagnola è cresciuta nel 2011 del 4,3% e nel 2012 lo farà del 3,7%. Si tratta di ottime referenze, ma è solo l’inizio per recuperare il tempo perduto. E non ci sarà un buon sviluppo se la vita democratica non crescerà.