Comunione e Liberazione (CL) è stata citata in un dibattito politico che si è svolto nei giorni scorsi in Spagna. All’Assemblea regionale della Comunità autonoma di Madrid, il nuovo presidente, Ignacio González, ha infatti ricordato al leader socialista, Tomás Gómez, un intervento che aveva fatto nell’aprile del 2005 in occasione della presentazione di un libro organizzata proprio dal movimento fondato da don Luigi Giussani. Ma com’è possibile che CL, una realtà ecclesiale che ha come unici obiettivi l’educazione alla fede e la missione, sia stata citata in un dibattito politico? Il caso merita di essere approfondito.
Prima però bisogna ripercorrere un po’ di storia. Tomas Gómez, prima di essere alla guida dei socialisti madrileni, era stato il sindaco più votato della Spagna a Parla, una città della periferia di Madrid. In quegli anni, da politico di base, aveva sempre dimostrato interesse per il contributo della Chiesa alla vita della società. E proprio alla luce di questa sua sensibilità, era stato invitato a partecipare a una tavola rotonda su un libro di don Giussani.
In quell’occasione aveva valorizzato il lavoro della Chiesa nel campo dell’educazione e in quello sociale, dicendo che la Chiesa “ha un ruolo molto importante, che è quello di essere un punto di riferimento nella struttura sociale per il superamento dei nuovi problemi”. E aveva poi aggiunto che la religione è “necessaria in una democrazia e lo è in particolar modo in questo momento per l’Occidente”. Affermazioni che, provenendo da un giovane leader della sinistra spagnola, avevano un valore speciale. Allora come oggi, era difficile che qualcuno le pronunciasse: il socialismo spagnolo, purtroppo, si trova spesso impantanato nel vecchio laicismo.
Cinque anni più tardi, nell’agosto del 2010, a essere invitata a un evento di CL era stata l’Assessore all’educazione della Comunità autonoma di Madrid, Lucía Figar. L’occasione era un dibattito sulla libertà di educazione al Meeting di Rimini. In quell’occasione aveva esposto i provvedimenti che la sua giunta aveva preso a favore della libertà di scelta dei genitori e del sistema di finanziamento che comprendeva le scuole di iniziativa sociale nel sistema pubblico. “Abbiamo scelto di migliorare l’offerta educativa attraverso centri gestiti da privati con risorse pubbliche e di ampliare l’offerta di posti nelle strutture di questo tipo sul territorio. Questi centri sono finanziati con soldi pubblici, con i fondi regionali, ma mantengono una proprietà privata e sono gestiti di conseguenza”, aveva assicurato Figar.
Questo tema è ancora tabù per una sinistra statalista che considera blasfeme simili politiche. Negli ultimi due anni alcuni sindacati e i difensori di un sistema dell’istruzione esclusivamente statale hanno definito queste parole come la “abominevole confessione” di una destra che pretendeva di fare del “nazionalcattolicismo”. Periodicamente, ogni volta che Lucía Figar ha avuto l’occasione di fare passi avanti nella sua carriera politica, sono state rispolverate queste dichiarazioni.
Tomás Gómez, forse influenzato da queste prese di posizione, e ormai diventato un leader dei socialisti e per molti versi aspirante successore di Zapatero, ha quindi cambiato radicalmente linea. Ha smesso di sostenere il valore della Chiesa in democrazia e ha cominciato a parlare di CL come se fosse una delle forze più oscure della storia. E ha cominciato anche a criticare il governo del Partito popolare, accusandolo di favorire le scuole private. Le sue posizioni sono ora del tutto analoghe a quelle del vecchio anticlericalismo ottocentesco. Trasudano vecchia ideologia.
È questo il contesto in cui, Ignacio González, il nuovo presidente della Comunità autonoma di Madrid, gli ha ricordato la sua incoerenza. Sicuramente ci sarà chi vede in questo episodio un motivo per rifiutare certi sforzi in favore del dialogo. La Spagna, si sa, è un Paese prevedibile, dove le posizioni sono molto marcate. Se stai su uno dei due lati della strada è meglio che non la attraversi, che non corri rischi inutili, che non cerchi il dialogo con giornalisti non credenti, filosofi atei e men che meno con politici di sinistra da cui non si può ottenere nulla. E Gómez, sfortunatamente, è diventato, con il suo schematismo, uno dei più grandi interpreti di questa “divisione” spagnola.
Sostenere il dialogo per il dialogo è infantile ed è tipico dell’ideologia del buonismo. Ben altra cosa, invece, è il vero incontro con l’altro, che è irrinunciabile per ogni identità che voglia dirsi matura. Nel momento in cui si raccontano all’altro, se è realmente aperto, le ragioni della propria esperienza, queste ragioni stesse si approfondiscono. L’autentica certezza si forgia nel dialogo con l’altro, con le circostanze, con la vita. Diversamente da una scommessa su un’identità costruita sulla base di dottrina e di certe idee morali, che resta sempre fragile.
Al cattolicesimo spagnolo è spesso mancato questo esercizio di verifica che può venire solo dal rimanere aperti alle provocazioni della storia e alle ragioni dell’altro. Il dono della fede si approfondisce e matura quando dispiega la sua razionalità e ciò è favorito da un autentico dialogo. Per questo è ancora necessario abbattere i muri. Adesso che si celebrano i 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II è necessario recuperare questo invito che allora fece uno dei teologi che lo ispirarono, Hans Urs von Balthasar.
La libertà comporta dei rischi, ma vale la pena correrli. Si può sempre essere aperti al diverso e alla vita se non si ha paura della libertà propria e altrui. E ciò avviene quando si riconosce che la verità è nata e nasce dalla carne. Perché, da quando il Verbo si è fatto carne, non c’è carne che sia nemica.