“Una forte esplosione ha scosso oggi Damasco. Lo riferiscono residenti di Kfar Suse, quartiere periferico nella parte sud-occidentale della città, citati dai comitati di coordinamento locali. Secondo le prime informazioni si tratta di un attentato suicida compiuto a bordo di una moto-bomba contro la sede di uno dei servizi di sicurezza”. La notizia, diffusa ieri nel primo pomeriggio dall’agenzia Ansa, seguiva a poche ore di distanza quella di un bombardamento su Maaret al-Numan, città conquistata dai ribelli sulla strada tra Damasco e Aleppo. Qui un aereo governativo aveva colpito due edifici di civile abitazione, e una moschea dove si erano rifugiati diversi donne e bambini, facendo – si è detto – 44 morti. E’ la cronaca di una normale giornata di quella guerra civile senza sbocco che è in corso in Siria ormai da quasi due anni. Ci sono tutti gli elementi perché il conflitto duri senza fine ovvero termini per esaurimento delle due parti in lotta: una conclusione che in un caso del genere non può che coincidere con il collasso economico e con il marasma sociale del Paese. Il sostegno al governo di Damasco della Russia – storico alleato del regime della famiglia Assad sin dall’epoca del suo fondatore, il padre dell’attuale presidente – è forte quanto basta per allontanare l’eventualità di una soluzione per così dire di tipo iracheno, che peraltro avrebbe conseguenze certamente catastrofiche. Stando così le cose, un Occidente e in particolare un’Unione Europea ancora troppo condizionati dalla loro componente nord-atlantica restano inerti puntando in modo irresponsabile a un epilogo della crisi appunto per esaurimento. Né il quadro è stato mutato dalla comparsa in scena della Turchia da cui si è sperato troppo senza tener conto che si tratta dell’ex-potenza imperiale della regione, la lotta contro la quale col sostegno dell’Inghilterra e della Francia fu all’origine dell’indipendenza (poi tradita) della Siria come dell’Iraq e degli altri Paesi arabi loro vicini. Quindi, anche al di là del fatto che comunque può meno di quanto vorrebbe, il suo riapparire suscita fantasmi che aiutano non ad appianare la situazione bensì a dissestarla ulteriormente.
Diciamo ancora una volta che l’inerzia al riguardo dell’Italia e degli altri membri mediterranei dell’Unione Europea è sempre più grave e sempre meno giustificabile. Anche i nostri precedenti governi non brillavano per sensibilità ai problemi del Levante ma questo, fatto di gente che ha il mito del Nord Europa come fonte di luce per tutta l’Ue, li batte tutti anche in questa mesta graduatoria. Si accoda senza discutere a tutte le controproducenti sanzioni che si decidono a Bruxelles a parole contro il regime di Assad ma nei fatti contro il popolo siriano; e tra l’altro contro un patrimonio monumentale e archeologico straordinario alla valorizzazione del quale le missioni archeologiche italiane hanno sempre dato un forte contributo.
Rientra in queste controproducenti sanzioni la chiusura delle ambasciate occidentali: un’iniziativa senza senso se è vero come è vero che la loro presenza è o dovrebbe essere utile soprattutto in circostanze del genere. Sempre alla ricerca della patente di prima della classe in quanto a europeismo (subalterno) Roma ha anche chiuso l’Istituto Italiano di Cultura di Damasco, storico canale di relazione con quei molti esperti e dirigenti ministeriali siriani in materia di beni culturali che si sono formati nel nostro Paese. Inoltre bloccando le relazioni economiche tra Italia e Siria non solo ha dato un bel colpo ai produttori di macchine utensili soprattutto lombardi da cui si servivano le aziende manifatturiere siriane ma ha anche provocato la sospensione del pagamento dei servizi di custodia e di vigilanza dei siti archeologici affidati alle missioni italiane creando così le premesse per il loro saccheggio. Può ridursi a questo ruolo così perniciosamente subalterno a interessi strategici altrui il governo di un Paese come il nostro, l’unico fra i membri del G8 ad essere bagnato soltanto dalle acque del Mediterraneo e quello che ha maggiori relazioni positive con tale regione? Uno potrebbe pensare che la Farnesina non possa purtroppo fare di più, tutta assorbita come è dall’impegno di riportare in patria i due fucilieri di Marina detenuti nel Kerala senza processo ormai da circa otto mesi dopo che inconsultamente vennero fatti sbarcare e mandati a consegnarsi alla polizia del posto. Visti però i risultati, se anche pensa a qualcos’altro magari è meglio per tutti, compresi i due sfortunati fucilieri.