Il nazionalismo con pretese di indipendenza esploso in Spagna questa volta fa sul serio. Artur Mas, Presidente della Generalità di Catalogna, e Iñigo Urkullu, leader del Partito nazionalista basco, hanno confessato di aver fatto un patto per fare di Catalogna e Paesi Baschi due nuovi Stati in Europa.
Perché si preme l’acceleratore sulla secessione in questo momento? Lo stesso Mas ha spiegato che la crisi è un momento propizio per chiedere l’indipendenza dato che il Governo di Madrid è più debole, impigliato nella rete della riduzione del deficit e dell’imminente richiesta degli aiuti all’Europa. Ma il momento è anche “antropologicamente” opportuno, sebbene di questo si parli poco.
Spieghiamo rapidamente cosa significa “antropologico” in questo contesto. Antropologico è ciò che ha a che fare con la condizione umana, con il significato che si dà all’esistenza. Una crisi così grave come quella che stiamo attraversando accelera le domande sul senso delle cose. Di fronte ai tagli, alla disoccupazione e all’incertezza tutti finiamo per darci delle risposte, secondo quello che riteniamo più conveniente. Questo è quel che è successo con il secessionismo: i politici l’hanno indicato come soluzione e non sono pochi coloro che sono disposti ad accettarla e a sostenerla.
Il nazionalismo secessionista è il punto di arrivo di un determinato modo di usare la ragione, che si trasforma in misura di tutte le cose e smette di essere uno strumento di apertura, finendo per assolutizzare la diversità. E alla fine questa diversità arriva in alcuni casi a pretendere uno Stato proprio. L’ha sintetizzato chiaramente Alain Finkielkraut ne La sconfitta del pensiero: “Da sempre, o per essere più precisi da Platone a Voltarie, la diversità umana è stata convocata dinanzi al tribunale dei valori; quando il nazionalismo è comparso ha fatto condannare tutti i valori universali dal tribunale della diversità”.
In questa evoluzione senza dubbio influisce il romanticismo. Sentiamo ogni giorno tesi storiche sulle preesistenza della nazione catalana e di quella basca. Ma ciò che conta non è tanto il passato, che non sempre si invoca con rigore, quanto la volontà di essere indipendenti. “L’esistenza di una nazione è un plebiscito quotidiano”. Questa frase potrebbe essere di Artur Mas, ma in realtà è di Ernest Renan, il grande teorico del nazionalismo contemporaneo. L’ha scritta alla fine del XIX secolo. I tedeschi avevano appena strappato alla Francia l’Alsazia-Lorena. Il territorio era di tradizione germanica. E per rivendicare il suo carattere francese Renan sostenne che ciò che costituisce una nazione è la volontà, la scelta di essere tale.
Si chiude così un processo. I tempi moderni erano cominciati cercando la verità in aperto contrasto con la Rivelazione. In seguito buona parte della modernità ha trasformato la razionalità tecnica nel metodo generale di conoscenza. E si è finiti per identificare la maturità umana con la capacità di rompere con tutto. Anche con la comunità nazionale. Questo tipo di nazionalismo non ha bisogno di sottostare alle ragioni della storia, né dell’economia o della Costituzione. La nazione da questo punto di vista è associata alla religione, con le caratteristiche che aveva prima della comparsa del cristianesimo. Infatti, nei tempi antichi i valori religiosi e nazionali erano indissolubilmente uniti e non potevano essere sottoposti a un esame critico.
Dato che i piani secessionisti hanno una chiara dimensione antropologica, qualsiasi risposta che non tenga conto di questo livello risulta insufficiente. In altre parole, si tratta di proporre come alternativa un uso più aperto della ragione, capace di tener conto di tutti i fattori storici, politici ed economici in gioco. Fino a quel vertice in cui la ragione diventa religiosità. La ragione è ben usata quando, nell’affermare qualcosa di particolare, resta fedele alla sua vocazione universale.
Nel terzo secolo ci fu un interessante dibattito tra Celso e Origene che è molto pertinente con ciò che sta accadendo in Spagna. Il pagano Celso aveva criticato il cristiano Origene perché con la sua nuova fede aveva messo in dubbio il vecchio nazionalismo, in cui la nazione era un valore assoluto, religioso. Origene gli rispose dicendo che lavorare per il bene della patria vuol dire aprirla e sottometterla a un bene superiore: Dio fatto carne.