La condanna per omicidio colposo plurimo dei membri della commissione “grandi rischi” per il terremoto dell’Aquila ha giustamente lasciato perplessa la comunità scientifica nazionale e internazionale. Sono stati puniti per aver dato informazioni ‘inesatte, incomplete e contraddittorie’ sul fatto che le piccole scosse prima del terremoto del 6 Aprile 2009 potessero rappresentare un avvertimento per una grande scossa. Ma non è plausibile condannare degli esperti per non aver previsto l’imprevedibile, e se c’è stato un problema di comunicazione non appare ragionevole imputarlo con tale durezza ai tecnici della commissione visto che presumibilmente questa è una responsabilità quanto meno condivisa.
Ma sull’onda della polemica i toni della “difesa della scienza” che viene fatta in questi giorni sui giornali contiene alcuni elementi paradossali. Il primo è che gli scienziati si trovano nella inusuale situazione di dover spiegare a tutti che la scienza non è poi così potente come la gente è stata abituata a pensare. Ed è proprio così. Vi sono campi nei quali la capacità predittiva della scienza è straordinaria. Possiamo anticipare con grande precisione la posizione di un pianeta sulla sua orbita fra migliaia di anni, o l’evoluzione di una stella addirittura su tempi di miliardi di anni, o il comportamento di infinitesime particelle elementari sottoposte a ben precise condizioni fisiche esterne. Questi risultati nel campo della fisica hanno diffuso una sorta di mitologia della scienza, inducendo in molti un’illusione di onnipotenza del metodo scientifico, come se da esso ci si potesse aspettare la capacità di controllare e prevedere ogni fenomeno. Ma in realtà la conoscenza scientifica per sua natura è limitata, ha sempre elementi di incertezza, e nessun progresso potrà toglierle il carattere di provvisorietà che le è proprio. Insomma è curioso che nella mentalità neo-positivista del nostro tempo per difendere la scienza sia necessario sottolinearne il limite.
Certo molti settori della scienza (non tutti, per la verità) aspirano anche alla capacità di prevedere i fenomeni, e da tale capacità può venire un bene enorme per le persone e le società. Ma non sempre le conoscenze sono sufficientemente mature come, purtroppo, è il caso delle scienze della terra. Oggi, infatti, i geologi di tutto il mondo non solo non sono in grado di prevedere i terremoti, ma non sono neppure nelle condizioni di esprimere ragionevoli “probabilità” del prodursi o meno di una forte scossa in un lasso di tempo utile. All’Aquila come a Reggio Emilia, in Italia come in Giappone.
E qui c’è il secondo paradosso. Ma come? Abbiamo pieno controllo del moto degli astri a anni luce di distanza, e non riusciamo a indovinare quello che succede pochi chilometri sotto i nostri piedi? Comprendiamo con alta precisione la struttura dell’universo primordiale e fatichiamo a capire quello che accade nel nostro piccolo pianeta? Ebbene sì, per quanto strano possa essere. Il problema non sono tanto le dimensioni nel tempo e nello spazio, quanto il tasso di complessità dei sistemi in questione. Se per sistemi semplici, come una pietra in caduta libera, la fisica può vantare un dominio straordinario, la sua capacità di previsione cala rapidamente di fronte a fenomeni anche solo leggermente più complessi, come il percorso esatto di un fiocco di neve che lieve scende nell’aria mossa dal vento.
In anni recenti molti progressi sono stati fatti nella comprensione dei fenomeni complessi. L’aumento vertiginoso delle capacità di calcolo ha fatto fare grandi passi avanti alla meteorologia, ad esempio, migliorandone notevolmente le capacità predittive. Forse verrà il giorno in cui sapremo prevedere il luogo il tempo e l’ intensità dei terremoti, e molte sofferenze saranno risparmiate: è importante investire in quella direzione. Ma quel giorno è ancora lontano. E quando lo avremo raggiunto, altre sfide si saranno aperte.