La politica e il regime democratico spagnolo, così come è stato disegnato dalla Costituzione del ‘78, sono messi in discussione. Gli argomenti dei manifestanti (riuniti sotto la sigla “Movimento 25 S”) che qualche giorno fa hanno assediato la Camera dei deputati sono stati “abbracciati” dalla magistratura. Il giudice della Corte nazionale, Santiago Pedraz, infatti, con un atto che è apparso più simile a un proclama di un sanculotto che non a un atto giuridico vero e proprio, ha dato in parte ragione a chi protestava.

La procura di Madrid riteneva che l’assedio della sede dell’assemblea nazionale poteva essere considerato un reato contro le alte istituzioni dello Stato, ma il giudice Pedraz l’ha valutato una forma di manifestazione della libertà di espressione, oltretutto logica “di fronte alla riconosciuta decadenza della classe politica”.

Le argomentazioni utilizzate dal Movimento 25 S somigliano pericolosamente a quelle usate in Germania e in Italia nel periodo tra le due guerre mondiali. Il sottosegretario alla cultura, Josè Maria Lassalle, in un suo articolo apparso su El Paìs dal titolo “L’antipolitica e la folla”, ha ricordato la somiglianza, almeno nelle intenzioni, tra gli organizzatori delle proteste davanti alla Camera e i seguaci di Mussolini che marciarono su Roma. Nel nome di una “vera democrazia” si mettevano in dubbio, allora come oggi, le istituzioni. Sempre l’Italia ha vissuto, in anni più recenti, l’esperienza negativa di quel che comporta avere un gruppo di giudici che sale alla ribalta e detta persino i tempi della vita politica.

A metà degli anni ’90, infatti, un gruppo di magistrati ha messo fine alla Prima Repubblica che, nonostante i suoi difetti, aveva partiti, quali il Psi e la Dc, che potevano contare su un’ampia base sociale. E ancora si stanno scontando gli effetti negativi di tutto questo. Per questo è allarmante che oggi un giudice spagnolo porti i malanni della democrazia come giustificazione per certi atteggiamenti tenuti dai manifestanti. Perché non hanno alcuna legittimità coloro che alimentano il sentimento irresponsabile dell’antipolitica: sia nelle manifestazioni che sotto le toghe dimenticano il bene comune.

L’avvento della democrazia in Spagna è stato il frutto di molti sacrifici e di una transizione che è stata esperienza di un popolo. Ora, con tutto il rispetto e la stima per alcune delle istituzioni costruite sulla base del perdono reciproco in un Paese che era a pezzi, dobbiamo ammettere che la politica spagnola si sta allontanando pericolosamente dalla vita quotidiana. I messaggi formali, il malumore quotidiano, la mancanza di un orizzonte nella difesa del bene comune fanno sì che, logicamente, cresca lo scetticismo.

Il governo di centrodestra sbaglia nel modo di fare politica, lasciando che tutto venga deciso da una stretta cerchia di persone che gravita intorno al Presidente. Per ragioni storiche, Josè Maria Aznar aveva costruito con il Partito popolare una nuova destra senza correnti, né sensibilità diverse. Rajoy ha riprodotto lo stesso modello, riducendo ancora di più il cerchio in cui si prendono le decisioni. Ha aumentato così in maniera considerevole un presidenzialismo nefasto, in cui contano solamente i suoi collaboratori più stretti, poco propensi ad ascoltare “messaggi esterni”.

Sia il partito che il governo si stanno configurando sempre più come sistemi chiusi. Gli eccessi della politica “professionale”, intanto, stanno colpendo anche i socialisti che, senza il potere, sono incapaci di proporre un progetto che li tenga insieme. Sondaggio dopo sondaggio, i due principali partiti stanno perdendo consensi, senza che aumenti quello verso altre forze politiche: in sintesi, sta aumentando l’astensione.

La crisi sta mettendo in discussione molte cose. Stanno scomparendo parecchi elementi del sistema-Paese spagnolo. Per questo siamo in un buon momento per ripensare la vita politica e aprirla alla società. Solo così si potrà recuperare l’impeto ideale della transizione. E uno dei cambiamenti che occorre fare da tempo riguarda il sistema elettorale. Il Segretario generale del Psoe, Alfredo Pérez Rubalcaba, ha proposto di adottare il modello tedesco. È una formula mista, una buona formula, dove gli elettori scelgono tra due liste, una chiusa e l’altra aperta. La lista aperta obbliga i partiti a sottomettersi alle preferenze degli elettori e vincola i candidati alle proprie circoscrizioni. Un grande esperto come Carlos Vidal nel suo recente libro El sistema electoral alemán y su posible implantación en España (Il sistema elettorale tedesco e la sua possibile adozione in Spagna) spiega come si potrebbe esportare questo modello.

Una riforma elettorale è senza dubbio un fattore rigenerante. Però, da sola, non può bastare. Il salvataggio della politica richiede un’esperienza popolare viva che, dalla base, generi un dialogo tra coloro che costruiscono la società e i deputati, i ministri, i sindaci, i consiglieri e i partiti. È questo il flusso che può eliminare la tossicità creata dai “politici di apparato”.

I vescovi spagnoli, nella loro recente dichiarazione Di fronte alla crisi, solidarietà, danno un suggerimento quando affermano che “c’è una carità che riguarda direttamente le relazioni politiche”. Di fatto, la politica, intesa come servizio che si compie perché il popolo abbia una vita buona, è un’espressione della carità. Virtù che, come tutto ciò che si riferisce al cristianesimo, non ha mai un carattere privato o intimo.