Un autentico dramma sociale. Venerdì scorso, una donna di 53 anni si è tolta la vita nei Paesi Baschi nel momento preciso in cui la commissione giudiziaria entrava in casa sua per procedere allo sfratto. Era sposata, lei e suo marito avevano un lavoro. Ma la prospettiva di un’esecuzione ipotecaria deve esserle sembrata peggiore della morte.
Sono già due i suicidi avvenuti con questa motivazione. E una terza persona ha cercato di togliersi la vita qualche giorno fa. Da quando la crisi è iniziata nel 2007, in Spagna ci sono stati 350.000 sfratti. E il dramma non si ferma con la perdita della casa, perché si deve continuare a pagare il debito. Adesso stiamo pagando i danni della “sbornia immobiliare”. Molte famiglie, durante gli anni del boom, hanno sottoscritto mutui superiori al 100% del valore della loro casa. Sembrava normale che le banche e le casse di risparmio avessero una politica commerciale aggressiva e che i clienti accettassero contratti, senza conoscerne a fondo le condizioni, di fronte alla prospettiva di un aumento del valore dell’immobile in un tempo breve.
In quegli anni ruggenti la prudenza non sembrava necessaria: molti pensavano che non avrebbero mai perso il lavoro o che non avrebbero mai visto crollare il loro potere d’acquisto. Ma la povertà ora è esplosa. E sappiamo che il 20% dei mutui firmati tra il 2004 e il 2008 è ad alto rischio.
Il governo ha presentato una serie di misure per aiutare le famiglie che si trovano in condizioni difficili, con l’estensione dei termini di pagamento. Per gli altri casi problematici, la soluzione non è facile. L’uso della cessione dell’immobile come forma di pagamento non può essere generalizzata: i crediti ipotecari sono stati infatti contratti a un prezzo più basso perché questa possibilità non veniva contemplata. Potrebbe essere introdotta nei mutui futuri, a patto di accettare il fatto che diventino più costosi. In un Paese come la Spagna, dove c’è l’ossessione per la proprietà immobiliare, ciò comporterebbe un cambiamento di mentalità e il ricorso all’affitto.
Una soluzione a breve termine è quella di istituire Commissioni di sovraindebitamento, come in Francia, che avrebbero il compito di stabilire se ci sia stata buona fede nel contrarre mutui eccessivamente onerosi e, nel caso, migliorare le condizioni di pagamento.
A ogni modo c’è un problema di fondo che gli sfratti hanno portato a galla e di cui si è poco parlato. I due suicidi sono l’espressione estrema della debolezza con cui tutti affrontiamo la crisi. La disoccupazione o la perdita della casa sono circostanze molto avverse. Per questo tutte le iniziative di carità in questo momento hanno un grande valore. Coprire le necessità di base di una persona è un modo concreto di dar valore alla sua dignità. Ma dobbiamo riconoscere che la cosa più difficile non è rimanere senza lavoro o senza tetto, perdere un po’ di terra o vedere andare in rovina l’azienda per cui si lavora. La vera tragedia è che tutte queste circostanze sono accompagnate da una perdita di stima verso noi stessi. Ammettiamolo: abbiamo pensato che la nostra vita coincidesse con una qualche forma di successo. E questo è ciò che ora ci lascia paralizzati, ci impedisce di chiedere aiuto, ci rende meno creativi, meno disposti a cercare nuove opportunità.
La crisi è dunque un’occasione per tornare a usare fino in fondo la ragione, per farci riconoscere chi siamo. Senza un cambiamento di mentalità siamo condannati a farci schiacciare dalle circostanze. Possiamo perdere il tetto, Dio ce ne scampi, ma avremo sempre una casa. La ragione ci permette di riconoscere che siamo vivi, che ogni mattina l’esistenza ci è donata, che abbiamo un Padre.
Vi sembra naif? Vi sembra una fuga dalla realtà nei momenti di difficoltà? Non lo è. Tutto questo è religioso. Su questa evidenza i nostri antenati hanno costruito la civiltà che è diventata la nostra casa. In principio non c’erano che città distrutte e assedi di barbari in ogni dove. Dopo sono rimasti solamente alcuni libri, l’aratro romano e la terra dura da seminare. Ma i nostri avi, quelli di 1.400 anni fa, sapevano che Qualcuno li amava. E questo è ciò che è più importante: sempre, ma soprattutto in una crisi.